mercoledì 28 dicembre 2011

Lá dove solo vive il cuore...

Mica ci posso credere che domani saró a casa...a casa...non quella dove abito, dove vivo, dove pulisco o cucino, dove incontro e non mi incontro, dove c'é José, certo.
Ma lui starebbe in ogni posto dove si possa stare insieme, lo so e la certezza mi inorgoglisce.
Ma la casa, quella della radici, non é questa e non lo sará mai.
Perché la mia strada parla un'altra lingua, beve un altro caffé e cuoce la pasta come si deve.
La mia casa é tra le nebbie del nord anche se, come tutti i Padani, vivo con quest'onda dentro che mi trascina verso il mare.
Io, marinaio d'acqua dolce, lungo Po e Ticino, Naviglio e Lambro, ho ripulito dal cuore sporcizie e disinganni, ora qui, di nuove sulle rive di un fiume, il Manzanares...
Ma la mia casa é lá dove le strade sono piú strette, il dialetto non urla quasi piú, le mie emozioni si esprimono nella lingua di tutti.
Dove la nebbia giá é soltanto principio e il cielo é grigio e freddo.
Dove il giorno e la sera si confondono e si scambiano i colori...e le albe nascono prima e i tramonti danzano nel rumore.
La mia casa é lá dove scorre la vita della Katis, tra deserti e grandi spazi, lacrime e sorrisi, sforzi e soddisfazioni.
La mia casa...domani arrivo!
Saluti e baci

lunedì 26 dicembre 2011

Sole giallo, cielo blu...

Anche se fai finta di niente.
Anche se dici che natale é un giorno in piú alla fine di un calendario sgualcito.
Anche se accendi l'albero senza crederci del tutto...e poi prepari la cena della vigilia e il pranzo di natale.
E stai tutta la mattina a preparare il tronchetto: monti la panna, prepari il pan di spagna e lo bagni con la coulis di frutti di bosco, e lo ricopri di cioccolato. E cerchi l'agrifoglio...e dici, é un giorno come gli altri...no, non lo é...
E ti ritorna in mente un sole pallido o a volte la neve quando si usciva in cortile e i primi fiocchi cadevano leggeri, in silenzio, senza disturbare botti e canti.
E ti ritorna in mente la notte magica in cui svegliavi tua sorella, é ora Katis...Gesú Bambino é arrivato, ho sentito un rumore...
E i, giochi all'alba, scoperti nel cuore della notte santa, erano giá gonfi di sbadigli ,ma persisteva la magia e la dolcezza dello sguardo della nonna, liquido d'azzurro, come le sue pupille.
E poi della mamma che almeno quel giorno si svegliava quando il sole giá aveva fatto capolino o la neve, dipende...
Guarda cosa m'ha portato Gesú Bambino...e il carbone te l'ha portato? Noo...che sono stata buona...
Chissá perché, solo mi tornano in mente i ricordi dell'infanzia, solo quelli tra i tanti di tanti natali di una lunga vita.
E ancora oggi che natale é giá passato, mi sento addosso quella strana nostalgia che non so dire se sia tristezza o magone o semplice malinconia...non so, ma li vedo tutti qui, ballare intorno a me i volti e i sorrisi di chi non c'é piú, di chi giá é andato via, verso un natale perenne, forse...chissá...
Saluti e baci....

venerdì 23 dicembre 2011

...O é Natale tutti i giorni...

Ma quanto tempo é passato?
Cinque mesi, lunghi di attese e giorni, tanti giorni, a volte stanchi e pigri, a volte illusi e disillusi, incantati nelle sorprese che regala ed ha giá dato il tempo.
O anche disillusi, certo.
Amici che vanno e vengono, gente che rimpiangi e rimpiange, che spera senza lottare o lotta con una debole scintilla di speranza.
Ma persone, sí e sempre.
Esseri umani che tengo, nonostante tutto, come clips appiccicate al cuore, nei pensieri lontani e remoti. O nell'asciutto persistere di lacrime seccate...
"Ma il tempo prende...il tempo dá...corriamo sempre verso quella direzione...che senso abbia, se ne ha avuto...chi lo sa..."
Resoconti? No, non sono abituata a fare i conti con il tempo. Ho pagato i miei debiti alla vita: adesso soltanto gioisco o piango, ma senza rimpianti e ripensamenti. Quel che é fatto é fatto, i conti e le somme le fará la storia, mia e di ognuno. Non io. Giá no.

Il ghiaccio si é sciolto, il sole fa scintille sulla brina delle foglie secche. Sono i primi giorni dell'inverno e la pace serena della casa ritrovata accompagna guardinga i miei passi. Si appesantiscono le immagini, i respiri sono lenti ed il cuore gonfio di una gioia antica e rinnovata....perché presto torno a casa, quella casa che parla la mia lingua, la lingua dei poeti. Quell'attesa di naviganti partiti e mai tornati. Io invece torno.
Naufraga e marinaia di vallata, torno a casa per pochi giorni, sempre troppo pochi...

E poi c'é Natale, dietro l'angolo c'é giá la festa.
Mia sorella dice sempre che il Natale é finito nel 2004, che ormai non é piú festa, ma solo un giorno in piú, uno degli ultimi del calendario di un anno che va via, sobrio e leggero.
E forse ha ragione, forse é proprio finito in quell'anno il Natale: quello dei profumi e balocchi, quello che anche da grandi era l'infanzia...forse sí...
Ma io che continuo a festeggiarlo preparando la festa nella mia cucina e poi apparecchiando la tavola come se tutto fosse rimasto uguale, prego qualche dio perché a tutti sia concesso almeno un Natale come uno dei tanti, uno qualsiasi, di quelli che ho potuto vivere io...e poi mi ripeto e mi ripeto, instancabile, nel cuore e nel vento, "o é Natale tutti i giorni o non é Natale mai..."
...Buon Natale...
Salutie baci...http://youtu.be/KVeRexhheVE

mercoledì 27 luglio 2011

Gazze ladre e stelle...

Me ne vado zigzagando dalla piscina a casa, troppo sole oggi. Ma l'estate chiama e l'acqua e l'illusione di non essere troppo distante dal mare.
Che poi, questo, é tra i pochi piaceri che mi sono rimasti, integri, intoccabili. Nemmeno il fantasma puó con il desiderio di sognare una marea che sale e scende, una spiaggia all'alba piena di telline e poi, quando le ore cavalcano l'azzurro dell'orizzonte, il calore del sole sulla pelle, ardente, il fuoco della vita.

É pieno di gazze ladre questo paese: corpi lucidi e neri e petti bianchi, in attesa sul filo della luce o tra gli alberi, aspettando che un raggio monello illumini e faccia brillare le cose.
Un pezzo di vetro o un diamante sono quasi uguali sotto il sole ed il loro valore é proporzionale al loro luccichío.
Forse in un'altra vita sono stata anch'io gazza ladra. Lo presumo dall'interesse che ha per me qualsiasi cosa che brilla, che sfaccetta la sua ricchezza (che importa se solo presunta?) sotto i raggi del sole.
Ricordo un cuoricino di vetro che avevo da bambina e che con la luce si rivestiva di mille colori, come un arcobaleno.
Davvero mi sembrava che dal mio collo penzolasse l'intero creato e le sue sfumature...e mi sentivo cosí ricca!
Adesso ho un piccolo cuoricino di cristallo che non metto mai, chissá perché.
Eppure, continuano ad affascinarmi i riflessi e le ombre, i colori sovrapposti e leggeri, quasi un'illusione ottica.

Anche le stelle sconcertano la mia fantasia, forse piú del sole perché si lasciano guardare.
E nonostante non sia un animale notturno, una lucciola bramosa di buio per potersi illuminare, quando posso e ci riesco le spio, sbadigliando l'amore che sento verso il giorno, ma con un rispetto che é quasi reverenziale.
Le stelle...che sembrano trapuntare il cielo, piú preziose dei diamanti, lucenti come le lacrime, bianche come un sasso illuminato dalla luna sul greto di un fiume...bianche come il ghiaccio eterno quando eterne non sono, vivono e muoiono, un po' come noi...ma quanto sono piú belle e pure di noi!
E intanto, lontano dagli occhi e dal cuore, quasi quasi muore un altro giorno...uno di meno verso altre stelle...
Saluti e baci...

La valle...

Quando chiudo gli occhi vedo una vallata grande, estesa sotto di me.
Percorro un ponte che non sale e non scende, ma scivola verso uno sconosciuto destino.
La valle emerge dal niente, come un raggio improvviso, la luce di un lampo nella notte.
E quel verde, mattutino, gocciolante di rugiada, fresco, un gelato al pistacchio sciolto sulla terra, mi conduce piano all'idea della nascita.
Sembra un campo di grano, germogli che daranno frutti, ma che ora altro non sono che docili fili d'erba scolpiti nell'aria tersa.
E la valle sale in un pendio che arriva al monte mentre io continuo il mio cammino sul filo fragile dell'ignoto.
Dove vado non si sa.
Forse é un sogno, uno di quelli che non bussano e non timbrano il cartellino per cominciare il loro turno nelle ore silenziose della notte.
Solo un'immagine. Perché i sogni non li decidi, li sogni soltanto, inerme davanti alla forza dello spazio onirico.
Invece, la valle sta lí, estesa nell'immensitá di se stessa.
Va e viene con un battere di ciglia: apro gli occhi e scompare, chiudo gli occhi e ritorna a darmi pace, conforto, tenera pacatezza.
Sará un ricordo, un momento che vissi un giorno e che non c'é piú.
Nemmeno: la valle é lí, chiudo gli occhi e ritorna, automatica come automatico é abbassare le palpebre e riposare.
Un ponte. Da lí osservo il verde e il mio silenzio che é il suo. Quel che io ascolto é soltanto un eco prestata.
Sto andando a casa, ecco.
Scoperto, lo sconosciuto si fa forte della sua trasformazione e non é piú tanto docile da maneggiare.
Non c'é piú la valle, il verde giá é giallo. Il grano giá raccolto, l'estate corre e corre...
E io sono giá a casa...
Saluti e baci....

mercoledì 13 luglio 2011

L'assurdo Belpaese...

Il vento che forse preannuncia il temporale, bussa all'uscio della finestra aperta e tutto si muove, si agita nell'aria come in un vortice fatto di fiato.
La tenda sembra cosa viva e le pieghe blu increspano il colore del cielo.
I fili tessuti da chissá quali sconosciute dita, sembrano ricomporre, di nuovo, la tela sottile, trasparente come l'aria stessa e le foglie che qui e lá fanno scivolare le loro molecole d'oro nel blu, sembrano staccarsi da un infinito autunno colorato d'ambra.
Il cielo, intanto, si scolora ed é l'azzurro, ora, che rincorre il bianco delle nuvole che, come ventagli perlacei, si muovono e si trasformano nel vento.
Vorrei essere io stessa, lassú, nuvola e vento e avere nelle mie dita il potere di tornare da dove sono venuta, un giorno di un gennaio ormai lontano.
Ma non certo perché qui mi manchi l'amore che nella dolcezza della mia casa solitaria vicino al mare neppure fantasiosamente mi sfiorava. No.
É soltanto la terra che chiama, é soltanto nostalgia.
Quello stivale peninsulare, circondato da tanti mari, acqua uguale a se stessa e differente, sempre, onde che invocano il signore dell'abisso e rispettano i suoi segreti; terre e isole fantastiche ripiegate su se stesse e la propria antica storia...
Regioni del nord con il loro gelo, valli con castelli che si specchiano nel lago, ghiacciai in movimento e cime eterne, alte come il tetto del cielo.
Boschi di larici, abeti rossi e pini, secoli di radici che si fondono con le zolle di terra.
E unghie di genti testarde che, graffiando, rubano il cuore alle montagne.
E seppero ricostruire le loro vite insieme alle case quando la terra, dal profondo della sua anima, scosse la rabbia e i dissapori dal suo groppone vecchio e si aprí all'improvviso, come scatola rotta, inghiottendo, con fame divoratrice ed ingorda, paesi e cittá ed il cuore battente di ogni essere vivente.
O quando la montagna, la terra e le pietre, col bosco intero, scivolarono nell'acqua della diga e l'onda che si produsse sommerse interi mondi e vite: famiglie, paesi, cose e persone...in un istante furono soltanto frammenti di ricordi.
Ma la testardaggine sopravvissuta alle stesse generazioni, ripercorse le menti e i cuori, scosse di nuovo la grandezza del disastro e ricostruí. Ricominció la vita...

Profondo nord di padroni, ma anche di operai che vivono pesanti giorni con la leggerezza di un istante o di un'idea.
Lombardia, terra di dominanti e dominati, di imperi barbari e vincenti, di Ostrogoti e Visigoti, di Galli e Longobardi. Gente fiera e libera che mi ha visto nascere, mi ha dato un accento e un dialetto che non so nemmeno ben pronunciare, ma che nonostante tutto é la lingua dei miei avi, padri e madri che m'hanno insegnato l'orgoglio della libertá, la cocciutaggine della giustizia.

Nord di leggende urbane che raccontano la sua imperturbabile sensibilitá, l'altezzosa distanza nelle sue azioni...ma sono soltanto miti di epopee presunte e giá appassite.
Nord di polenta gialla come il sole, alimento fedele della sua dignitosa povertá e di filande e vecchi contadini ormai soltanto ricordati nelle stanze dei musei.

Piemonte monarchico che ricorda e si vanta ancora degli antichi fasti di re disertori e rinnegati, ma anche di parchi e cioccolato, mascherine e gianduiotti, automobili e fabbriche, operai stanchi e signorotti capricciosi e viziati
.
L'Emilia e la Romagna, grasse di prosciutti e mortadelle, fatte di portici e contrade, di cantautori e uomini leali che hanno lottato e vinto nelle guerre per la libertá.
Terre di saggi ed universitá, di saltimbanchi e poeti, musicisti e lirica austera. Di registi geniali e di storie cantate sulla riva del mare. Un mare stanco che ti lascia camminare fin quasi dentro il suo mistero quando, il mattino, la bassa marea lascia fare, ti permette toccare l'anima fragile dell'Adriatico cordiale.
Spiagge bianche di sabbia e telline, d'ombrelloni e sdraio, di abbronzanti e larghe estati che finiscono in agosto quando i salariati di Milano tornano a casa lasciandosi dietro il mare ed un sogno.

E poi il Centro, rinascimentale ed elgante, regioni che hanno segnato la storia dell'arte autografando manoscritti e pitture, quadri e statue di marmo d'un bianco lucente e incandescente: Marche Toscana Umbria Marche ed Abruzzi, terre di maestria e olivi, musei e cinghiali, formaggi stagionati nelle fosse scavate nella terra e grotte di antiche stalagmiti e stalattiti. Di poeti padri della lingua, quell'unione armonica di vocali e consonanti che sempre sembrano comporre il suono di un desiderio.
E di montagne, gli Apennini che vanno fino alle Ande negli scritti del poeta. Di piccoli borghi medioevali che racchiudono la storia e l'ingegno di geni reazionari attraverso l'arte che continua a tracciare la loro vita nel continuo fluire immortale del ricordo.

E poi il sud caldo e piccante, pepeoncini e pasta, aglio e pesce spada, marionette che nelle vie dei borghi recitano ancora antiche gesta.
Sicilia Campania Calabria. Molise Basilicata e Puglia. mozzarelle e pomodori, peperoni e melanzane in un concerto strabiliante di colori e d'odori.
E mare verde come é verde lo smeraldo, come un prato ondeggiante nel quale rieccheggiano le urla di naufragi e canzoni di sirene, faraglioni come giganti di pietra in mezzo all'acqua e voglia di continuare a navigare...
Cittá frustate da re e feudatari o da politici corrotti. Da una mafia che uccide piú di un cancro.
Ma fatto anche di gente nobile e coraggiosa, austera nei silenzi e nelle parole...uno, nessuno e centomila...cosí é, se vi pare...

E poi c'é Roma, Caput Mundi, la cittá eterna e la mia capitale: fontane che rincorrono ancora i ciak di Fellini, d'acqua che suona sbattendo contro le monetine gettate dai turisti. Mastroianni ancora vive la Dolce Vita notturna di una cittá che non muore; Giulietta ancora rincorre gli spiriti o s'immalinconisce sulla Strada dove troverai sempre uno Zampanó pronto ad ingannare.
E il Colosseo conta e riconta i suoi gatti aspettando di rinvigorire i suoi sassi stanchi in un'era di splendore.
E gli archi di trionfo, il Pincio e il Tevere che corre, vendono, ora, pizza al trancio e santitá.

E Napoli che per me, nipote figlia e sorella del Nord lattiginoso di nebbia, non é sud e nemmeno nord, ma soltanto Napoli la bella, madre di scugnizzi furbi e intriganti, ammazzata dalla camorra e dai rifiuti e rinata, ogni volta, nel profumo di una sfogliatella o di un babá che gocciola di rum. O nel fresco ghiaccio bianco di una granita di limone, fine come l'orizzonte che intravedi dal Maschio Angioino.
Mentre scende da Posillipo uno scanzonato canto d'amore e nei quartieri Spagnoli la roba stesa ad asciugare, da una finestra all'altra, si lascia accarezzare dal vento, nei vicoli e in galleria si spande prepotente l'odore del caffé forte che sostiene il cuore di questa nobile creatura.

Ecco, questa, oggi e sempre, é e sará la mia nostalgia: Italia di poeti navigatori e santi, di banditi e buona gente dove, per fortuna, ci sono pochi "Cavalieri" ma tanta folla stonata che, a volte, pare perdere il senso del proprio esistere.
Ma soltanto a tratti: poi si sveglia e dichiara apertamente il suo sconforto per una schiera di mercenari che la governa e che non la rappresenta.
Di lei, dell'Italia, come di un vecchio amante, ricordo solo le cose belle. Le brutte, le fandonie e i pettegolezzi, le ho dimenticate forse per amore o, chissá, per uno strano presagio di sconfitta. 
 
 
E il vento soffia e soffia ancora, con incipiente violenza, gridando la sua rabbia e spostando ogni cosa al suo passare, qui, a migliaia di chilometri, lontano da casa.
Ma non mi sposta, a me che vorrei: mi lascia qui, mentre fuori quasi infuria la tempesta, il cielo si nasconde nel sole, il sole dietro le nuvole, le nuvole nell'infinita lontananza...e il salice piange, gocciolano le sue tristezze e, nel vento, si sente una canzone..."Parlami d'amore Mariú...tutta la mia vita sei tu..."
Saluti e baci...

lunedì 11 luglio 2011

L'onda...

Come se ancora, o di nuovo, vivessi vicino al mare. Anche se é soltanto una piscina.
L'acqua scivola su di me come se anch'io ne fossi parte.
Come se fossi una goccia gonfia di trasparenza e in libertá fluissi da una sponda all'altra.
Come se i pensieri e la mente stessa si fossero liquefatti nel grembo immenso dell'essenza liquida che corre, si muove ondulante, si dissolve e si ricompone, anche se soltanto nella mia fantasia veloce.
Eppure il mio elemento, la natura del mio esistere, é o dovrebbe essere la terra, la Madre, dove gli alberi frondosi scavano la culla alle loro radici e, nel profondo cuore della terra stessa, innescano il meccanismo della vita.
Invece, il mare e l'acqua mi chiamano e non confondono mai il mio nome.
Sia dolce o salata, fonte o abisso infinito, l'acqua e il suo zingaro movimento, la sua corsa verso il niente o il tutto sconosciuti, mi canta le sue storie, compone su di me i suoi versi di poesia.
E io sento di appartenerle.
Mentre, lontano, la campana di una chiesa suona.
Saluti e baci....

mercoledì 6 luglio 2011

La salvezza....

Non pensavo davvero che questo piccolo computer, grande quanto una scatola di cioccolatini, con uno schermo cosí piccolo da sembrare lo specchio di una bambola, sarebbe diventato il tramite e il mezzo per tornare a respirare.
Adesso che i pomeriggi si sono fatti lunghi, mentre la luce dura quanto la lettura di un ininterrotto romanzo d'appendice e il caldo abbraccia con ferrei artigli, intransigente e rigoroso, adesso é proprio quando i momenti si fanno eterni e i silenzi di chi, mio malgrado, m'accompagna diventano magma incandescente che mi cade addosso.
Allora, nel profondo sconforto che porto appiccicato addosso quando devo condividere con "il fantasma" i miei spazi e il mio tempo, trovo pace scappando quassú, tra la finestra e l'abbondanza di cielo che ci separa dall'infinito; ricompongo, di nuovo e finalmente, quel che avevo ed ho perduto, quella solitudine che sempre ho rispettato e alla quale appartenevo...prima dell'uragano che si é gettato scrosciante sulle nostre vite, senza chiedere permesso, senza bussare, facendo e disfacendo ogni cosa, confondendo le regole con la disarmonia, l'ordine con il caos.
Non c'era voluto tanto tempo perché José ed io imparassimo i bisogni e le necessitá l'uno dell'altra; nemmeno c'era voluto tempo per imparare a rispettare le nostre diversitá, ad accettare il nostro essere due poli negativi, due sfigati insomma per farla breve! Ma ci abbiamo sempre riso sopra ammettendo che le regole del meno per meno da piú con noi due non funzionano, non hanno funzionato e non funzioneranno!
Ma, come dico, era soltanto questione di sapersi ridere addosso, accortocciare le proprie sventure come si accortoccia un fumetto giá letto. E poi, come non ricordarlo!, sempre dalla nostra, áncora nel mare, c'era e c'é questo profondo amore, incomparabile e incontaminato...nonostante tutto.

E poi é arrivato lui, "il fantasma", e tutto é cambiato: la pace anelata é diventata guerra fredda
Ci si sveglia col magone perché non si sa mai cosa possa succedere, qual'é l'ultima inutile intuizione, quale l'ennesima idiozia.
Ed io sono stanca di cercare scuse che giustifichino i suoi comportamenti scorretti, le distrazioni che durano ore e giorni, la pigrizia che tiene continuamente incollata al suo sguardo nelle non-azioni.
Stanca e confusa, silenziosa per non gridare, continuamente all'erta...e sono stanca perché non c'é una soluzione plausibile, perché tutto comincia e tutto finisce...ma quando?!?
Allora, la stanza diventa un'oasi di riposo dal pensare e pensare e pensare e scrivere l'unica maniera di mettere una virgola nei discorsi senza fine, sempre quelli, sempre uguali, ma anche e soprattutto inutili.
Cosí anche oggi sono qui, aggrappata come un naufrago al mio silenzio, all'isolamento nel mio arcipelago privato cercando disperatamente quel che avevo e non ho piú: il mio spazio vitale.
Saluti e baci...   

lunedì 4 luglio 2011

La stanza...

Qui di sopra nella mia stanza che sembra essere l'intervallo tra il rumore ed il silenzio neutro del cielo, in alto, mentre grida e baccano salendo su si sfumano nelle nuvole accortocciate su se stesse, mi godo la solitudine benevola della quale ho bisogno.
Scappare da tutto, da tutti, per riunire in poche parole pochi pensieri, disordinati ma miei, senza intromissioni che s'infagottano di niente e mi disturbano, senza lo sguardo banalmente vuoto di chi guarda e non vede...
Mi dispiace, continuo a scappare. Ma non c'é altra via per incontrarmi, per dar fondo e libero sfogo a quei quattro stracci di idee che ancora rastrello e conservo nella mente; non c'é altro modo di coincidere con me stessa senza sbandare e cadermi addosso.
Perché "il fantasma" si é catalputato nella nostra vita quale orda barbarica che va alla guerra e ha sconvolto ogni cosa, scompensando l'equilibrio e gettandoci nel caos che sembra non dover mai finire, eterno e infinito come lo spazio sconosciuto.
Un universo di sensazioni che sfuggono a qualsiasi ragione e si spandono stillanti di rabbia, malumore, sconcerto, disordine mentale, fastidio e indignazione.
E intanto, tutto questo andirivieni scalcinato di emozioni si fa breccia e riesce ad entrare dominando ogni istante come se le nostre vite, la mia vita, fosse al suo servizio e dovesse per forza obbedire ai suoi errori, alle sue cento idiozie, alla sua pigrizia senza limiti, al suo grattarre la vita dal divano.
Da quassú, invece, tutto mi appare lontano: il sole filtra leggermente dalla finestra-obló, il blu profondo della tenda si arriccia in piccole sfumature, il contorno delle foglie diventa d'oro e risplende, sontuoso, come un ghirigoro vistoso sulla tela.
Non sento i rumori dei bambini che si tuffano in piscina, non sento nemmeno una voce implorare d'essere ascoltata, nemmeno una risonanza: il silenzio gocciola pacato ed armonioso su di me lasciandosi dietro una scia di sonnolenza composta e distante...
Finalmente sola, libera di ridere o piangere, di  sorprendermi e scompormi, di pensare e scrivere, "di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo..."e giá, poterlo fare, sarebbe sufficiente...
Saluti e baci...

giovedì 30 giugno 2011

Για Σένα...per te...

Il sole danza e danza, fa dei suoi raggi una treccia dorata e spennella il cielo di giallo.
Se profumasse, oggi avrebbe quell'odore dolce di pesche mature, quelle con la buccia vellutata che fanno uno scivolone tra le dita e lasciano scappare, da ogni poro, quel profumo pastoso, saturo d'infanzia, dolce di ricordi, zuccherino come i confettini colorati di quand'ero bambina.
E mentre sto sdraiata nel prato della piscina, tra risa e rumore di tuffi allegri, il sole sfiora come fosse una carezza chi, senza onore e senza gloria, umilmente io, porta nel suo nome quello stesso significato, "sole", in una lingua antica e quasi del tutto dimenticata.
Lingua di filosofi e retori, di drammi e commedie, di acropoli lontane, di matematici e sapienti, di libri di storia e di vecchie e nuove guerre.
Lingua antica della terra di Grecia che ora soffre e si tortura, o meglio, é torturata giá che i potenti hanno in sé sempre quella buona dose di sadismo che lascia senza fiato alla gente che vive tra le vigne e gli oliveti o nel traffico caotico della cittá.
Chi paga i danni, i cocci di un intero servizio di piatti rotto da altre mani, sono sempre gli stessi: donne e uomini che lottano per il pane quotidiano.
Gli altri, chi i piatti li ha rotti davvero e bicchieri e tutto un passato che non sará piú divenire, banche e signori, carnefici crudeli, lasciano scie bianche con i loro yatches puliti e grandi sulle acque verdi e azzurre dell'Egeo, celebrando in calici tintinnanti un'altra morte. La morte della giustizia, del'uguaglianza, di una vita degna e dignitosa.
Ieri, oggi, domani e sempre
Saluti e baci...

venerdì 24 giugno 2011

L'alba...

Un'ora fa, si sentiva soltanto il chiacchierio gutturale delle gazze ladre: come un suono proveniente dal battito di un metallo contro se stesso o contro la barriera posta dal vento che a quell'ora sfiorava l'aria incontaminata delle prime ore del giorno.
Adesso, come in un concierto polifonico, si sono uniti cinguettii sconosciuti, uccelli che da una migrazione lontana sono tornati agli alberi che circondano la piscina.
La luce é scoppiata, leggera e impalpabile, dal niente verso il cielo coprendo forme e contorni, come se di un velo si trattasse, passeggero, armonioso e sfumato
Il cielo, un cartoncino sottile dallo spessore appena accennato, si dipinge da solo di macchie e nuvole sparse qua e la. 
É giorno ormai. Ed io, da sola davanti allo schermo, la tastiera amica sotto le dita, cerco nel silenzio l'elegante e languido fluire delle parole.
É questa l'ora in cui mi sento bene, in pace, tranquilla con me stessa perché, da sola, riesco ancora ad immaginarmi incontaminata. La distanza apparente da me stessa soltanto una nota.
Passeranno le ore e mi sentiró di nuovo impigliata, naufragando ancora dentro me stessa come in un'isola distante e sconosciuta, come se tutto si ripetesse nello stesso ritornello cantato e cantato, monotono e piatto.
Ma adesso, intanto, partecipo del silenzio come un oblío, perdendo il contatto con il disordine e diventando anonima e assente nel mattino
Saluti e baci....

L'acqua...

Le siepi sono state tagliate. Ora sono abiti su misura che vestono la cancellata.
E la piscina, piena di acqua limpida, niente ha da invidiare ad un laghetto di montagna, gelato e pulito, sfumato d'azzurro quando il vento increspa la superficie.
É arrivata l'estate, magari senza rispettare il calendario, qualche ora prima, qualche giorno, che importa?
Stanno terminando di tagliare l'erba e un odore inconfondibile si alza e si spande, dalla terra nell'aria, come un profumo intimo e profondo.
Vorrei incontrare anche dentro di me una coscienza tanto segreta e viva invece della confusione che é rumore e frastuono, una valanga incostante, eppure continua, di turbamento: come se visceralmente ronzasse in me un vespaio che si libra nel turbamento e punge e bisbiglia, un fruscio ripetuto e ricorrente che non mi dá pace.
Vorrei essere chiara come l'acqua e pulita, rinnovata da mulinelli d'energia costante; e limpida, quasi metallica. Vorrei tornare a essere sonora, risonante, tintinnante invece che appannata e nebbiosa e opaca.
Ma "il tempo prende, il tempo dá...", forse non manca tanto alla rinascita...
Saluti e baci...   

lunedì 20 giugno 2011

La siepe di pittosforo....

Il cielo era, quel giorno, come un cassetto pieno di turchesi che sagge e capaci dita avevano infilato, pietra dopo pietra, facendone una collana intorno alla volta infinita e che si stemperavano nell'aria immota come cristalli azzurri.
Il cielo di Madrid che sempre conquista e lascia senza parole, quel giorno era l'anima intatta di dio: un dio finalmente benevolo con le sue creature, esseri instabili e incoerenti che lanciavano promesse e bestemmie verso di lui, ma anche, spesso, preghiere che erano antichi inni, a volte tanto tristi da sembrare quasi naufraghi dentro le proprie lacrime.
Anche le porte dell'estate si erano ormai socchiuse e scintille calde si staccavano direttamente dal sole per cadere incandescenti sulla terra.
L'aria non si muoveva, é vero, ma nella sua staticitá lasciava sfuggire soffi di fiato come sospiri che, all'improvviso, portárono un odore conosciuto.
Come fosse un'onda che, all'andarsene, lascia sempre un ricordo di sé, il profumo la avvolse per un istante e tutte le antenne dei suoi ricordi si volsero e ne raccolsero l'essenza: pittosforo.
Pittosforo a Madrid? Tanto lontano dal mare?
Allora, si accorse che proprio davanti a lei, quasi sfiorando i sensori del suo olfatto, c'era una siepe che copriva una grande cancello, ferro battuto che circondava in un freddo abbraccio una grande casa. Una casa ricca in un quartiere giá alle soglie della cittá, ma col cuore vibrante di mille pulsazioni, pieno di quella forza che solo il potere occulto ed efficace del denaro puó dare. E intanto, centinaia di piccoli fiori bianchi, quasi incollati come ciuffi di crema tra il verde delle foglie, sparsi a casaccio ma con elegante misura, osservavano come fossero piccoli occhi.
Guardavano come si era fermata, sbigottita e incredula, davanti al loro odore, concentrata direttamente sul quel profumo che, senza essere né sobrio né distratto, ma lusinghiero e lussuoso, la stava imbrigliando.
O forse era il ricordo di tempi andati che la incatenava, legandola a sé come fosse filo d'erba cattiva? O edera che s'intreccia e si arrotola, s'avvinghia e preme e cerca spazi tra gli spazi altrui, bevendo di una linfa che non le appartiene?
D'improvviso, veloce e rapido come quel profumo, davanti agli occhi, dal verde scuro e lucido della siepe si stava insinuando la forma lineare dell'orizzonte, lontano. Un orizzonte contro il quale sbattere lo sguardo, inciampare e caderci dentro. Un orizzonte quasi di cristallo, trasparente e sottile, una lastra di vetro nella quale gli occhi avrebbero potuto ferirsi e poi sanguinare gocce d'immenso infinito.
Mancava soltanto l'istante di un sospiro per raggiungherlo e toccarlo davvero: cosa incredibilmente impossibile. Come quando ci avvolge la sensazione di aver giá visto, di aver giá vissuto. Un deja-vu incomprensibile e arcano, manifesto soltanto nelle tortuositá della propria intima essenza.
E la siepe era un mare calmo, bonaccia piatta, totale assenza di vento, tranquillitá riposante e serena.
La strada che a quell'ora sembrava quasi emettere radiazioni luminose tanta era la luce ed il calore, diventata oggetto di un sortilegio, comandata quasi dall'intensitá del profumo, si era trasformata in quel viale che costeggiava il mare, a Fano.
Fano...antica dimora.
Frastagliata di mura ormai rotte qua e lá, vestigia di un nobile passato imperiale, figlia e suddita di Roma, ancora, a rimembrare un passato giá cosí remoto, sfoggiava un arco all'entrata della cittá, la statua di un augusto imperatore e un giardino pubblico, dominio di gatti e uomini randagi, che i Fanesi chiamavano "il Pincio" per far onore alla grande capitale o, chissá, a se stessi.
La Fano romana, la Fano dei Cesari, suddita e alleata, fedele e schiva, continuava a raccontarsi, dopo piú di duemila anni, attraverso la favola di un tempo, divisa tra Roma e il Medioevo, non sapendo, lei stessa, da chi o cosa farsi condizionare.
E costeggiando le mura fiancheggiate ora dai binari della ferrovia, lasciandosi quasi alle spalle la cittá vecchia, si raggiungeva il mare dalla parte del Lido: con i suoi negozi e gelaterie dai nomi variopinti, bazar e locali alla moda, non era diversa da qualsiasi altra cittadina di periferia dove peró la gente si orizzontava cercando il mare.
Il mare era la bussola e la stella polare per uomini e donne avvezzi all' odore acre e pungente di salsedine, abituati alla morte e alla vita, ambedue sorelle di uno stesso destino.
E per lei, figlia della pianura padana, nata da fitte nebbie e umiditá, "...e fiumi che trasformano i padani in marinai non veri...", quel mare era il sogno che avvolge i naviganti pur non essendolo lei, ovviamente.
Lei era un pirata e rubava quel che non le apparteneva: nelle mani callose abituate a tirare le reti o nelle cicatrici profonde sulle facce e nelle vite dei marinai, di nascosto, cercava tracce di storie da poter raccontare, inventando nomi o situazioni, ma lasciando sempre intatto quell'amore per il mare, ancestrale e puro, emotivamente perfetto, come quello dei romanzi d'appendice.
Cosí, anche lei ubriaca si solitudine e di sale, come i vecchi marinai delle osterie del porto, rubava immagini per metterne insieme altre come in una sinfonia di parole perché era l'unica maniera per sentirsi un po' meno sola.
E intanto, tutto il ricordo si spandeva in un unico profumo a migliaia di km dal mare, lontana e distante ormai dal tempo che l'aveva scatenato, quel ricordo, a volte cosí duro da ricordare.
Il pittosforo era quel fiore bianco e delicato che quasi la rappresentava. Prima di tutto perché, proprio come lei, fragile e aggressivo nell'imporre la supremazia del suo profumo, aveva poi dentro di sé, nella stessa timidezza, quella forza che gli permetteva sconfiggere la furia tremenda delle mareggiate. Sopportava, indenne, lunghi mesi di onde, di spruzzi, di bora, vento feroce che soffia impetuoso e impietoso da nord-est capace di strappare le radici dalla terra per scaraventarle nel mare.
Sopportava il caldo afoso dell'estate, una misticanza pesante di umiditá condensata e sudore, quel garbino malevole, vento di libeccio appiccicoso che chiude i pori asfissiando pelle e gola.
E tuttavia resisteva alle stagioni e ai venti, impavido, solenne, per tornare a regalarsi giorni pacifici di una tarda primavera che sempre tornava.
Il lungomare, a Fano, era pieno di pittosforo: siepi tutte uguali, in altezza e spessore, che quando fiorivano riempivano l'aria con quel loro odore dolce, fastidioso a volte, insinuante e pungente, persistente e seduttore, tanto da essere ricordato negli anni e a distanza quasi fosse stato un amante generoso.
In effetti, quel profumo e quelle siepi di pittosforo, non immaginava come fossero cadute lí. Non é esattamente una pianta di cittá come potrebbe esserlo la viola del pensiero, vellutata e romantica nella sua delicatezza; o la margherita, proletaria e disinvolta; o l'ortensia, signorile e superba come la magnolia...
Non ci si riesce ad immaginarlo come un elegante uomo d'affari, giacca e cravatta in tinta, scarpe di vernice e cellulare d'ultima generazione, mostrandosi, altezzoso, per le vie della cittá. No, il pittosforo normalmente costeggia le spiagge come un vecchio lupo di mare, schivo e selvatico, un po' antipatico e senza dubbio tenace; con un berretto di lana blu in testa anche se il termometro promette 40 gradi; barba lunga e, nelle tasche, insieme a un piccolo cavalluccio marino disseccato, odore di mare.
Eppure, stava lí, in uno dei quartieri piú eleganti e residenziali di Madrid, tra il Ramón y Cajal e Plaza de Castilla, a Mirasierra: che giá il nome avrebbe potuto essere un intero programma di vedute da un aereo in volo e panorami di rara bellezza stereotipata.
E cosí, tra edifici di cristallo ed acciaio, giardini delimitati da guardie giurate ed alte siepi, scale di pietra grezza che cercano, invano, di ricreare quell'ambiente bucolico ormai dimenticato, lontano persino dalle sponde del Manzanares, il pittosforo confonde le menti di businessmen maleducati a Mirasierra.
E lei, mentre il ricordo sfumava quanto piú si allontanava dal suo profumo, profanando il potere basico e banale di conti correnti milionari, cominció a salire la scala dai larghi gradini di sasso.
In alto, al secondo piano, a metá strada tra i sogni incerti ed il cielo, l'aspettava un altro colloquio, un altro esame...altro giro, altra corsa...
Saluti e baci... 

giovedì 9 giugno 2011

Il quadro...

C'é un quadro nuovo in casa: un salice si specchia nel mare, si disseta alla luce della luna che, qual dama bianca, domina acqua e cielo, cielo e acqua.
Quando lo vidi nella terrazza, non si distingueva la brillantezza dei raggi lunari. Soltanto polvere e sporcizia coprivano il vetro e la cornice come se gli anni avessero lasciato la loro guerra, lo scalpitio di litigate oscene, sulla leggerezza naturale della tela.
Del salice sí potevo vedere le lacrime ossidate nella polvere, raggomitolate su se stesse, quasi diventate spessi ciuffi di fumo nero.
Fumo di apatia che pochi conoscevano, che aveva vissuto i suoi giorni consumandosi lentamente ma lasciando indelebile traccia.
Quando l'ho pulito, la luce della luna é tornata ad essere un bianco riflesso nelle acque scure che potrebbero essere mare, ma anche lago e persino fiume, il salice si piega e finalmente sembra di nuovo ondeggiare nella brezza immaginata.
L'alone di magia manifesta che si sprigiona dalla luna, accende luci come fossero spettri nella notte che danzano tra le idee e formulano, nel ballo, pensieri e parole.
Mi piace il quadro, molto, anche se preferisco il giorno alla notte ed il sole alla luna; mi piace la pace che traspira e respira; mi piace quella sponda inventata, quel colore che sembra vestire la roccia a picco sul mare e che si fonde e confonde terra e radici.
Chissá se un giorno, prima o poi, dipingerá un quadro vedendo i riflessi della realtá che stiamo vivendo insieme, senza ricordi pensati e pesanti, dipingendo soltanto l'oggi.
Saluti e baci...

Quel che resta...

Il balcone sembra un giardinetto prensile, uno di quelli che, nei quartieri ricchi di qualsiasi grande cittá, sta sospeso tra terra e cielo, tra pavimenti di piastrelle raffinate e azzurro limite. Come se il cielo stesso fosse un prolungamento dei rami di piccoli alberi invasati o il turchese dell'infinito fosse una sfumatura anomala dei petali dei fiori.
Cosí, anch'io, nell'almanacco che registra tutti i colori, dal basso all'alto, vedo le tinte soffuse delle rose che mi ricordavo gialle ed invece scopro bianche con leggeri fruscii rosa nei contorni.
E guardo quell'incerto colore delle petunie: rubino o profonda ametista?
E il rosa dell'oleandro i cui fiori, come confetti ripieni di rosolio, si lasciano masticare dal vento.
Sul balcone é primavera ormai, anche se in ritardo. Perché, invece, ancora fa freddo, soprattutto la mattina: in pineta, tra cuculi noiosi e strani uccelli che non riconosco, l'umiditá raccolta dalla terra durante giorni di pioggia incessante, si alza e sbadiglia o dice e racconta mentre, in lontananza, abbaia il solito cane.

Ghiaccio é stanco e nervoso, trascina i piedi senza desiderio né entusiasmo. La terapia con il cortisone é finita e gli ha lasciato quell'agitazione frenetica che anch'io conosco bene: quella che non ti lascia riposare, che ti costringe a tic nervosi e a frenetici movimenti qui e lí senza trovare pace.
Nessuna posizione lo soddisfa, nessun cuscino conosciuto dove addormentarsi...e la zampa che gratta e gratta cercando, chissá, un po' di quiete, un sollievo all'ansia, una riconciliazione con il silenzio del sonno che non viene.
A volte, spesso, penso che é stata una fortuna non avere figli, per me e per quel figlio che non c'é...perché se sono cosí apprensiva con un cane, come avrei potuto esserlo con un figlio?
D'altra parte, inutile ricordare il sentimento di simbiosi sconnessa che ci lega, quotidiano come il pane, spirituale ma effettivo
Adesso mi guarda, gli occhi come mirtilli neri persi in un mare dolce di panna che é il suo muso...ed io non so cosa fare. Gli parlo continuamente, gli dico che passerá. Ma poi mi ricordo di quando lo dicevano a me e di quante volte ho mandato tutto e tutti a quel paese.
Lui, invece, ha la pazienza di milioni di storia, la tolleranza che é molto meglio di un libro di filosofia, la fedeltá tranquilla che non conosce ribellione...
Vedrai che passa davvero Ghiaccio, tutto passa e si scorda...
Saluti e baci...

martedì 31 maggio 2011

L'amico é...

Continua scuro il cielo, sembra essersi dimenticato d'antichi attimi immacolati di luce viva. Nascosti in qualche angolo, oscurati dall'ombra delle nuvole che minacciano, di nuovo, l'entrata del sole.
Vorrei, almeno io, essere piú luminosa nei miei atti, almeno quelli del pensiero: invece Ghiaccio, il fratello che mi accompagna, non sta bene e io ho passato la notte sul divano vegliando in silenzio il suo sonno disturbato da una tosse impossibile.
Mi sento male al solo pensiero di poterlo perdere, che mi possa lasciare davvero sola perché é cosí che, alla fine, mi sentirei quando arriverá quel momento della separazione.
Quante cose ha vissuto con me, quanti giorni e pace, notti e misteri, giorni e dolori, notti e disamori...quante cose insieme, Ghiaccio!
Nessuno, né essere umano né animale, sa di me tutto quel che lui sa perché ha condiviso lacrime e risa e ci siamo cullati e viziati, curati e medicati, l'una all'altro, senza chiedere nient'altro. Basta quel sentimento inconfondibile che sempre ci ha unito, quell'immediato capirsi e comprendersi , quella magia di sguardi obliqui che ci scambiamo anche se spesso nessuno li vede.
Ma lui é forte, passerá la tosse insieme alla mia paura: come sapesse che non mi puó lasciare, mi guarda, mi segue quando scrivo e si appoggia sui miei piedi sotto la scrivania.
Se togliamo dalla lista qualche essere umano, posso dire senza timore che é lui il mio migliore amico: peloso e bianco, quasi bilingue ormai, compulsivo negli affetti e nelle effusioni, simpatico e pauroso, ciccione e goloso di yogurt e gelato. Un bambino capriccioso come me, per questo ci intendiamo cosí bene.
É quel che si dice un legame, quell'anello, ultimo e perduto, di una catena che si é spezzata quando me ne sono andata per non tornare. É quel che mi unisce al mio passato: é l'unico essere che ha vissuto insieme a me la difficoltá del non capire, é quel che mi rimane di un capitolo giá letto, di una storia scritta su pagine che posso, ormai, soltanto sfogliare per ricordare.
Saluti e baci

lunedì 30 maggio 2011

E si fece buio su tutta la terra...

E all'improvviso, il cielo cade sul mondo, dimentica l'orizzonte, fonde le sue linee con quelle della terra. E apre il suo cuore.
Cambiano i colori: dall'azzurro al celeste, poi al grigio perla e, infine, un grigio acuto e spesso, quasi una nebbia gonfia di acqua, copre quella linea invisibile che ci separa dall'ignoto.
E cade giú, veloce e violento l'indicibile: acqua e fuoco, le scintille dei lampi ed il frastuono dei tuoni, gocce di pioggia dura che quasi faticano a sciogliersi nella terra. Soltanto scivolano quali pattini trasparenti e lasciano scie, rigagnoli gonfi e scuri.
Sull'asfalto, invece, sfrecciano le gocce come fiumi indomabili, si specchiano dentro loro stesse prima di scappare via, spaventate dal cielo che minaccia e corrono, corrono...
Un grande ventaglio copre la terra, un ventaglio d'aria e di vento che una mano gigante, il cielo, muove senza sosta e con tenacia.
Dalla finestra la pioggia si vede distante: si vedono le gocce riunite in file verticali e spostate senza tregua, mosse da quelle dita anonime che grattano sul mondo stesso.
Si vedono come fossero un esercito all'attacco, distante, ma che sta arrivando e vincerá; si vede la forza di cavalli galoppanti che alzano polvere d'acqua al passare.
All'improvviso, il grigio diventa nero e la notte scende placida e assonnata sulla terra quando ancora mancano ore ed ore alla sua ora, quando non c'é riposo ma frenesia spinta dal vento.
Allucinante sogno, un sogno che fa dell'immaginario un tempo reale, che costruisce se stesso tra una goccia e l'altra creandosi un cammino, passaggio verso il chissá dove.
La grandine, poi, comincia a picchiettare maligna sui vetri come chi vorrebbe entrare ed ha perso le chiavi. Bussa, batte i pugni, testarda ed intrepida.
Intanto, l'oleandro si piega per non spezzarsi. I rami gonfi di fiori che stanno per schiudersi, paladini di una tarda primavera, chinano il capo e si proteggono o proteggono i boccioli, come una madre amorosa.
E le petunie, violentate nella loro fragile delicatezza, aprono e chiudono i petali come bocche, come labbra di velluto colore del granato, rosso scuro come sangue.
E Ghiaccio guarda da sotto il tavolo quel che non capisce, quel che sta succedendo: il giorno senza luce, rumore picchiettante sulle finestre, pioggia a scrosci a mano a mano sempre piú costanti e violenti.
Fuori, nel cortiletto sotto la cucina, c'é un tappeto di chicchi ghiacciati, coriandoli irridescenti e pesanti
Ma come é venuta, all'improvviso e senza avviso previo, la notte torna a mescolarsi con la luce e piano piano torna a dormire.
Allora il sole, timido e assorto, ricomincia a pennellare il cielo di un colore azzurrino, quasi un mare di idee frastornate nella tela celestiale.
In lontananza ormai, piccole nuvole bianche galoppano come purosangue lasciando orme impercettibili, forse soltanto il fumo leggero del loro fiato.
E tutto, la terra in simbiosi con il cielo, alimentandosi l'una dell'altro, torna normale: la luce, il giorno, la pace...e va via la paura.
Gli uccelli ricominciano ad intonare chiacchierii sommessi e canti gutturali; persino le cicale sono arrivate, le rane e un corvo, lontano.
La vita, quella che non ci abbandona finché il nostro gioco comanda la partita, soffia incondizionatamente.
Saluti e baci....

venerdì 27 maggio 2011

Plaza Catalunya, oggi...

Cronaca di una morte annunciata...

Quello che sta succedendo a Barcellona é proprio questo, la cronaca di una morte, o meglio, di un omicidio: "los mozos de escuadra", la polizia autonomica catalana, sta assassinando la voce della gente, la voce insistente di un popolo stanco di bugie, di promesse.
Antefatto: la gente si era riunita nella Plaza de Catalunya dal 15 maggio scorso semplicemente per protestare contro un corpo politico ormai in putrefazione; contro una politica d'interessi che tutto ha rispettato meno gli interessi stessi della gente.
E attraverso le reti sociali, cosí come a Madrid a la Puerta del Sol, la gente aveva cominciato a confluire e creare quella specie di cittá stato che da sempre ci é negata: una biblioteca nata da libri portati in piazza da questo e da quello, una mensa con tavoli e cucine da campo per dar da mangiare a chi lo voglia o ne abbia bisogno, laboratori d'artigianato, asili e punto d'incontro per i bambini con giochi e animazione...insomma, un villaggio vero e proprio che dal virtuale del FaceBook o del Tuenti, era diventato realtá per tanta gente stanca, assonnata e persa nel sopore di una politica che non si riconosce e nemmeno riconosce se stessa....e che si era svegliata
Questa mattina sono arrivati 1300 agenti della polizia autonomica e hanno cominciato a smantellare tutto con la scusa di pulire la piazza. Bugia: gli stessi accampati pulivano e rispettavano le norme di igiene e sicurezza con un loro servizio d'ordine preposto.
Ma bisogna dirlo...domani nella stessa piazza, ci si aspetta la celebrazione per la vittoria del Barça in una delle tante coppe e coppette!
Quindi, mi domando, io e molti altri: molto piú importante o forse redditizio é montare uno spettaccolo sportivo-calcistico?
Sfortunatamente sí. Piú importante della voce della gente che, nonostante le manganellate date a destra e a manca senza ritegno, nonostante le cariche della polizia, non si muove...lo sto vedendo alla tele: botte contro gente disarmata, seduta per terra in protesta pacifica...incredibile...calci contro gente e famiglie intere che in silenzio si negavano ad andarsene, mani alzate in segno di non-violenza...ma che gliene importa?

Los mozos de escuadra hanno rubato computer con notizie e informazione, hanno caricato sui camion tavoli sedie materiale...un vero e proprio abuso di potere!
Dicono che l'azione é stata coordinata dal comune di Barcellona e dal consigliere di sanitá e la ragione data: mantenimento dell'ordine igiene e salubritá della piazza!
La gente filma, dicono che manderanno il risultato della cronaca di quello che sta succedendo ai giornali e televisioni europei.
É questa la democrazia che ci impongono?É arrestare e picchiare violentemente gente disarmata?
La gente é piena di sangue...e la gente intervistata dice "este presente es una mierda..."...e quale ragione hanno!
Mi piacerebbe che si diffondesse, che si sapesse quel che si sta cuocendo nelle piazze spagnole e particolarmente a Barcellona che é una delle cinque cittá di Spagnadove, bisogna dirlo, c'é una giunta di sinistra recentemente vittoriosa...

Che vergogna sento, quasi fossi Spagnola, vergogna che si veda nel mondo l'ipocrisia di questa "autoritá"che dovrebbe avere l'autoritá data dal popolo ed invece contro il popolo agisce!
Ho telefonato a Radio Popolare per chiedere se avevano ricevuto la notizia...m'hanno detto che mi richiamano, ma se non lo fanno non mi importa...io ho le mie parole...
Saluti e baci....

mercoledì 25 maggio 2011

Ciuffi d'erba...

Nell'aria vibra l'odore d'erba tagliata. Come un ballo d'ombre non viste, aleggia respirando per dar passo alla sua imprevesibile e casuale vita.
Un odore vive di se stesso e lo alimenta forse il vento vagando qua e lá e raccogliendo nella sua essenza altri profumi.
Forma una scia inconsistente nella gracile gratuitá dell'istante in cui si forma e si compone.
Ma é a volte piú importante di una architettura visibile, di una sembianza tangibile, di un complesso fisico con linee proprie e silhouette: piú forte ed ossessivo perché appartiene alla memoria, a fatti e gesta giá vissute che si intromettono nei pensieri dell'oggi acutizzando il passato.
E quest'odore d'erba, penetrante e pressante, rende l'ambiente bucolico e impalpabile, come impalpabile é il profumo stesso.
Ma quanta forza porta con sé, quanto ardire sfiorando la stessa aria!
E io, che ormai vivo nel circuito globale limitato dal bosco del ricordo, perdo consistenza in questo odore.
Saluti e baci...

L'isola non trovata...

Forse quello che piú mi fa male é la solitudine, quella sensazione giá ormai fisica di non essere visibile, di non essere percepita dagli altri.
Mi sento ferocemente sola, come il ciuffo d'erba cresciuto tra i sassi, come l'ultima goccia d'acqua caduta quando si annaffiano i fiori, quella lacrima che giá non incontra il suo mare e rimane lí, fossilizzandosi nel sale di se stessa per poi sciogliersi, dimenticata.
Ma sola non sono in realtá, c'é gente che mi cerca e che mi vuole bene: quello che sento é soltanto mio, parte di quell'essere sociale che sono e che non riesce a sfogare la sua vera essenza.
Cosí, tra alberi e foglie immote nell'aria di questa tarda primavera, sotto un cielo cosí azzurro da non osare nemmeno sfiorarlo con gli occhi, tra parole d'altri, scommesse sulla vita, si allarga questa sensazione di assoluto isolamento. Un'isola nei prati verdi, ormai lontana persino dal mare, dall'elemento che ha formato i bastioni del mio sentire.
Lontana da una terra forse soltanto immaginata nell'assenza, ma é la mia terra perché io la sento mia. E nonostante difetti difficoltá e bruttezze, é lí dove vorrei essere: passare giorni ascoltando il linguaggio dell'infanzia, le parolacce austere a volte, non certo colorate come qui.
Ma, ormai, é normale per me uscir di casa e non stupirmi di una lingua straniera.
Come invece sí mi scuote e mi fa tremare, ogni volta che ritorno, ascoltare per la strada le mie parole, il mio accento, quel che non c'é piú.
Mi dicono "Non sembri italiana...": magari pensano di farmi un complimento e, a loro vedere, si stanno congratulando del mio parlare.
Ed io, invece, mi sento male, sento allontanarsi le mie radici, le sento strisciare su di me come fossero ormai soltanto ragnatele e non solide dita aggrappate alla terra.
Com'é strana la vita, no? Ho sognato questa terra fin da bambina...sposeró un torero, dicevo; mi sentivo a casa soltando oltrepassando la frontiera e i Pirenei erano i miei sassi, il mio vento; la Costa Brava o del Sol erano il rifugio anelato...
E adesso? Mi chiedo spesso perché non sto bene in nessun posto, perché questa curiositá non costruisce in me, ma distrugge...chissá...
E torno, quindi,a sentirmi sola, come una nuvola che corre corre e non si incontra mai e che invece si scioglie o s'abbandona all'invito confuso della pioggia...e poi scompare...
Saluti e baci...

lunedì 16 maggio 2011

La fisarmonica...

Le lenzuola fanno il gioco del cielo, azzurri piú chiari e poi piú scuri che sfumano in certo tipo di verde che ricorda l'acqua del mare piú che il cielo. Ma non importa.
Poi ci sono gli scacchi della geometria, anch'essi persi nelle stesse tonalitá, magari inseguendo virtualmente le nuvole bianche che si sono fermate, a gregge pasciuto, proprio sopra il tetto.
Perché di solito, invece, le nuvole le vedi correre ed incastrarsi tra di loro disegnando figure, cancellando le precedenti e formandone di nuove, come pennellate nell'aria.Oggi invece no: immota l'aria e le nuvole, nemmeno un soffio di vento. Niente.

Anche oggi, sola nel salone, cerco di ricordare gli istanti, qualsiasi attimo che mi riporti ad un'emozione dato che, ultimamente, piú che di sensazioni ed emozioni potrei parlare di vertigini emotive che mai sono del tutto buone per il cuore.
A quest'ora giá avrei aperto il computer, giá avrei cominciato a lavorare e sudare in quell'antro senz'aria che chiamavano gentilmente ufficio.
Peró, per arrivarci, scendevo alla fermata di Santiago Bernabeu, o "Cuernabeu" come lo chiama normalmente José dato l'odio atavico, e virtuale anch'esso, dei fans dell'Atletico de Madrid verso i Madridisti.
E il Bernabeu, ahimé, é il regno, scettro e corona all'unisono, del Real Madrid...
Ma torniamo a monte, come si diceva negli anni settanta, o almeno diceva chi di politica o di atti socio-economici parlava...
Erano cinquanta minuti di metró, cinquanta minuti di sbadigli invidiosi davanti e accanto a me. Io normalmente no, quando butto i piedi dal letto giá sono sveglia.
Cinquanta minuti di pagine lette e di domande che non affioravano o, se lo facevano, non trovavano mai risposte chiare.
Cinquanta minuti prima di arrivare.
La linea 10 del metró di Madrid, dall'Hospital Infanta Sofia, mi lasciava esattamente davanti allo stadio e soltanto pochi passi ancora separavano la ragione dall'irrazionale che era quel che suggeriva, almeno a me, quel sedicente lavoro.
Ma prima di salire per strada, appena scesa dal vagone, una musica fatta come di ovatta, risvegliava anche le menti piú assonnate.
Il primo giorno, stupita, camminando m'accorgevo d'avvicinarmi sempre di piú alla fonte delle note, passo dopo passo era come convergere, muovendosi da punti diversi, verso un unico punto d'arrivo.
E in fondo alla scala mobile, o al principio, dipende da dove si guarda, un signore, cinquantacinque sessant'anni, mi sembrava che stesse raccontando al mondo intero la sua solitudine attraverso i tasti e poi le note della sua fisarmonica.
Paso doble, bolero, ballate...tango...
E quello che in un qualsiasi dancing d'altri tempi avrebbe invitato a ballare, in questo momento esatto, a me almeno, faceva cadere lacrime come goccioloni di tristezza infinita.
E all'improvviso, dai ricordi affiorava mia madre, giovane e ballando, con un sorriso immenso che illuminava la sua faccia e accendeva i due smeraldi profondi che aveva negli occhi...e ballava e ballava...ballava...
La fisarmonica era il suo strumento favorito ed é per questo che ogni volta che l'ascolto mi torna in mente con violenza quasi. Si fa breccia tra gli altri pensieri e salta fuori piú bella e viva che mai.
Sará per quello che mi commuove ascoltare qualcuno, chicchessia, suonarla. Sará per quello che, insieme ai tasti, sembra toccare, profondamente, le corde del mio cuore.
Poi salivo su, quasi sempre in fretta per non arrivare tardi: e la magia cadeva a terra frantumandosi.
Non restava altro che il lavoro, quell'ufficio quasi finto, il caldo, i computer, quelle telefonate inutili...e la tristezza, che giá non era malinconia ma vero dolore, ricominciava ad opprimermi il cuore.
Fino alla sera quando riprendevo il metró, altri cinquanta minuti di sonnolenza intorno a me e di dissapori in fondo al mio essere...ma poi c'erano le note, la musica di quella fisarmonica sconosciuta e mia madre con me ad accompagnarmi nei cinquanta minuti che mi separavano da casa. Un altro giorno andato, un passo in piú...
Saluti e baci... 

domenica 15 maggio 2011

"Signor dottore...eccellenza...commendatore"...ma chi sei?!?

Ormai, i pirati, non vanno con grandi velieri solcando le onde come ne facessero parte, come se fossero loro stessi acqua di mare. No.
Adesso, i pirati, vanno in giro con vestiti di marca, camicie immacolate dai tenui colori e cravatte di seta intonate all'abito e al calzino.
Belli, lucenti come brillanti sfaccettati, alcuni sono cosí, quelli che possono permetterselo.
Altri, meno belli, sfoderano sorrisi a denti bianchi, rifatti e cari, simpatia poco cara e fazzoletto al taschino.
Non hanno bisogno d'issare nessuna bandiera con teschio nello sfondo nero, perché lo sfondo nero é la loro anima sporca.
Quel teschio e quelle ossa sono le idee scalcinate di qualche povero illuso caduto nella rete e le ossa, sempre sue, dell'illuso di turno. Di chi crede, ancora, che non ci si inganna tra esseri della stessa specie, come non si ingannano i cani o non si rubano il cielo i passerotti nei loro voli: solo si annusano i cani, si sfiorano gli uccelli tra le nuvole...
Invece, l'umano é quell'essere imperfetto che sfida sua madre, la Madre Terra, che violenta la perfezione del creato.
E non contento, sfida a dadi l'altro essere, quello come lui, quello della sua stessa razza. Ma non per la sopravvivenza,no. E nemmeno lealmente, no.
Bara e gioca sporco soltanto per essere piú grande, per avere di piú, per il gusto d'ingannare, di sottomettere, di schiacciare.
Io che da piccola avevo una banda di malindrini, mi tiro fuori dal gioco, non ci gioco a carte se il mazzo é truccato. Non sono un pirata, di questo sono sicura.
Il vento continua ad agitare la mia bandiera che é quella bianca non perché mi sia arresa, no. Bianca come i vestiti dell'estate, come quelle nuvole che non portano pioggia. Bianca come la trasparenza, ancora, delle mie idee e del mio agire rispettando sempre l'altro essere che passeggia o corre o si ferma accanto a me...in questo cammino antico e solidale che é per me la vita.

"Ma che ci volete fare...io di risposte non ne ho....é l'istinto che mi fa volare...no, non é una cosa seria, non mettetemi alle strette...che politica che cultura...sono solo canzonetteeee..."
E forse é vero, ha ragione Bennato e tirarsi fuori dalla mischia a volte serve.
Saluti e baci....

lunedì 9 maggio 2011

Leggendo, sul filo del mio tempo...


 

Leggo seduta accanto al vuoto rumoroso di una panchina.
A due passi una fermata di metró, una bocca aperta al sottosuolo di questa grande capitale, Madrid, che riesce ogni volta a stupire gli occhi con la sua elegante, austera bellezza.
In questo quartiere, Serrano, dove la ricchezza si respira nelle facciate delle case, brillanti nella loro antica vita pulita e rinnovata, stucchi bianchi, a tratti, come panna spalmata con dovizia.
Si intravede dalle finestre, alte: vetri come specchi che frantumano irridescenti scintille d'arcobaleno quando il sole sbatte la sua faccia rotonda su di loro, da dove i soffitti spiccano voli leggiadri tra foglie d'oro e piume d'uccelli che mai apriranno le ali al cielo.
E nei negozi si vede quella sottile patina che lascia il denaro, dissipato tra le vetrine come nebbia che si spezza e sfuma.
Vecchie signore, imbellettate, passeggiano la loro etá e i loro cani.
Si muovono tra le pieghe di un altro tempo. Come musei andanti mostrano le loro gioie magari false: quelle autentiche, chissá, nascoste in una cassetta nei caveaux delle banche che, libere sentinelle, si mettono sull'attenti al loro entrare.
Ma poi, all'angolo di una chiesa, sui gradini che salgono al portone di quel palazzo distinto, signorile l'ascensore antico, lucidi i pomelli d'oro delle porte, dentro questo finto mondo ricco, una ragazza. China su se stessa, inginocchiata sul suo corpo, nascondendosi la faccia tra le mani.
E davanti a lei soltanto due parole scritte su un cartone, "Tengo hambre",ho fame.
Fame, magari, di un mondo diverso dove nessuno dovrebbe aver piú fame, quella classica, quella che chiede pane.
Certo, i miei 50 centesimi non cambieranno il suo stare inerme davanti ad un passaggio di gente cieca.
Non cambieranno il nome dei suoi bisogni.
Nemmeno serviranno ad ideare e costruire un mondo equanime dove i giorni sono assolati per tutti e per ciascuno. E le notti non fanno tremare di freddo e paura.
Ma oggi, in Nuñez de Balboa, nella C/Velazquez, mi sento molto piú vicina a quella ragazza china su se stessa con l'eleganza del suo silenzio, che ai palazzi e ai privilegi di poca gente che si scontrano con l'amarezza e la disillusione di troppi.
Saluti e baci....

martedì 1 febbraio 2011

L'eternitá dell'istante...

"...Come un velo di seta che lascia intravedere, ma non vedere, la notte lasciava passo a un giorno che si apriva la strada emergendo all'orizzonte, ancora con una luce debole....
La cittá, assorta in un dormiveglia, quasi un letargo, emanava quell'odore a grandezza antica che si mescolava con la fredda e vistosa modernitá. Appariva scandita da luci al neon, come se fossero nobili pietre che la illuminavano con la loro brillantezza competendo con le stelle, oscurando la sua luce, occultando la loro angusta presenza, millenaria ed arrogante.
Tuttavia, sotto la maschera della tranquillitá quotidiana, tra i clacsons stridenti delle macchine, i rumori dei lavori in corso e le voci umane, mille ombre deambulavano: due forze in opposizione si preparavano alla lotta per il potere.
I signori della notte, che vivono nella morte come ieri, dimenticati dai vivi, si nutrono di nuova saggezza per mettere a punto i loro poteri ancestrali ed accedere al premio definitivo: l'eternitá..." 

Proprio ieri leggevo queste parole, cosí belle e spaventose, questo libro che come tanti letti volge al termine, ritorna alla foce dal quale é partito: la mente e l'idea dell'uomo che l'ha scritto, come se l'idea fosse sogno ed il sogno idea.
Non é abituale per me leggere libri di questo tipo. La veritá é che non pensavo trattasse quest'argomento: normalmente leggo romanzi storici, quelli dove la storia é la base veritiera del narrare, ma s'intrecciano con lei storie ed emozioni mai raccontati nei manuali didattici di storia, quella che ricorda date e guerre dimenticandosi, troppo spesso, della vita dell'uomo.
Nel prologo si parlava di un antico manoscritto, perduto e magicamente ritrovato, della lotta eterna e nuova, sebbene antica, tra il male ed il bene...ma non m'aspettavo certo vampiri!
Peró, la maniera di delineare e descrivere soprattutto la notte, cosí lontana da me e da quel che sono, creatura diurna e imbalsamata nella luce del sole e del giorno, mi affascina, continua a stupirmi ad ogni pagina, mi spaventa e mi commuove.
Perché, nelle parole, c'é la certezza di poter rimediare all'errore e ritornar a vivere l'antica vita, magari senza l'essenza dell'eternitá, ma con la magia unica del vivere mortale che include sentire gli odori, le sensazioni di pace e paura.
Include la tenerezza e l'amore, la sofferenza quando si fa del male...e quello che sembrava monotono e banale diventa il nucleo fatato e esenziale di un'intera vita.
E poi, non ultima, la certezza di appartenere a un luogo, un posto preciso dove, tra sassi e dialetti, sei nato ed é nata la tua gente.
Quel luogo che, attraverso la sua storia, racconta la tua e la lascia scorrere come fiume che corre tra piccoli sassi e ciuffi verdi per arrivare fino al mare, attraversando paesi e cittá, racconti e poesie come un canto, ma partendo dallo stesso punto, sempre e arrivando alla stessameta, sempre. 
Anche quando cerchi di dimenticare, quando dici arrogante "Io non ho radici", dici e ti dici una bugia.
Niente e nessuno ti puó strappare da lí, nonostante i viaggi, le fughe e le cadute e le discese e i pendii percorsi, e le isole ed il mare, e le colline ed i boschi e le cittá...al nord o al sud, ad oriente o occidente: nemmeno sei anni passati come un soffio, scaduti sabato scorso e, senza nemmeno ricordarsi, rinnovati. Niente e nessuno cancella il tuo appartenere a quella terra e forse, proprio attraverso la terra,  puoi raggiungere quell'eternitá che quasi fa paura.

Vi consiglio questo libro: leggero nel racconto, sofferto e infinito, a tratti amaro e malinconico perché cosí é la vita, spesso, nella consapevolezza della morte.
In Spagnolo s'intitola "El conjuro de la sangre (El Protocolo Griego)" di uno scrittore basco, Kendall Maison, non so darvi indicazioni circa il titolo in Italiano.
Non l'ho ancora finito, rimangono ancora un centinaio di pagine ricche di sottili sogni e piccole idee, come se gli uni si fondessero e diventassero reali nelle altre.
Mentre il sole splende, il vento ha frenato il suo incedere danzante...
Saluti e baci...

lunedì 31 gennaio 2011

La cotoletta primavera e non solo...

Il vento spazzola i capelli, li spettina, niente vale: con le sue dita curiose, cerca una forma, quasi uno stile personale che nessuna lacca o gel riuscirebbe a fissare.
E il sole, laggiú in fondo, dove lo sguardo muore nei miei occhi miopi, accende una luce ansiosa su un paese senza nome per me.
Ma lo disegna, ora, come se fosse nuovo e non costruito nei secoli passati. Per me, continua ad essere un'immagine rinnovata nella luce.
Fa freddo perché il vento prova ad inventare traiettorie nuove per vecchi giochi, sempre quelli.
Sei tu, io, che ogni volta li sente, li sento diversi; che li vive, li vivo come una nuova esperienza.
Sembra infantile vedere giochi nelle corse del vento, ma qui, lontano dalla cittá, ogni cosa che vedo diventa originale e unica, diversa e spirituale.

Sto scrivendo molto, quasi quotidianamente, una storia che, come tutte le altre, ancora non ha titolo. Le altre, le molte giá concluse, rimangono lo stesso anonime come tutto ció che non ha nome.
Chissá se un giorno verrá l'ispirazione magica e riusciró a dare nome agli eventi, che ho vissuto e reinventato per farli diventare storie.
É difficile, complicato, incasellare con un titolo una storia: per me almeno, non é difficile raccontare. Invece sí mettere un punto, come scrivere la parola "Fine" ed incasellare parte della vita in un semplice titolo, che invece semplice non é perché attraverso una semplice traccia d'inchiostro dai una direttiva che servirá a far capire.
Per me che, quando compro un libro mi fisso incantata sul titolo, diventa impossibile trovarne uno alle mie storie.
Ho pensato che potrebbe essere perché non voglio concludere un discorso cominciato. O forse, piú semplicemente, non ho sufficiente potere di sintesi...dev'essere questo...
Intanto ho preparato la vinagrette "primavera" che servirá d'accompagnamento alle cotolette: pomodorini, cetrioli, peperoni tagliati a dadini piccoli. Poi tre parti d'olio e una d'aceto, sale e una sforchettata veloce per emulsionarli insieme, come a sbattere le uova per una frittata ed infine, come una sciarpa colorata, metterli al lato e sopra la cotoletta come a definirne i contorni...cosí mi sentiró un po' a casa, con un sole pallido che non scalda, la nebbia che s'infila negli angoli fin dentro al cuore, grigio il mondo intorno...peró a casa.
Saluti e baci...