lunedì 20 giugno 2011

La siepe di pittosforo....

Il cielo era, quel giorno, come un cassetto pieno di turchesi che sagge e capaci dita avevano infilato, pietra dopo pietra, facendone una collana intorno alla volta infinita e che si stemperavano nell'aria immota come cristalli azzurri.
Il cielo di Madrid che sempre conquista e lascia senza parole, quel giorno era l'anima intatta di dio: un dio finalmente benevolo con le sue creature, esseri instabili e incoerenti che lanciavano promesse e bestemmie verso di lui, ma anche, spesso, preghiere che erano antichi inni, a volte tanto tristi da sembrare quasi naufraghi dentro le proprie lacrime.
Anche le porte dell'estate si erano ormai socchiuse e scintille calde si staccavano direttamente dal sole per cadere incandescenti sulla terra.
L'aria non si muoveva, é vero, ma nella sua staticitá lasciava sfuggire soffi di fiato come sospiri che, all'improvviso, portárono un odore conosciuto.
Come fosse un'onda che, all'andarsene, lascia sempre un ricordo di sé, il profumo la avvolse per un istante e tutte le antenne dei suoi ricordi si volsero e ne raccolsero l'essenza: pittosforo.
Pittosforo a Madrid? Tanto lontano dal mare?
Allora, si accorse che proprio davanti a lei, quasi sfiorando i sensori del suo olfatto, c'era una siepe che copriva una grande cancello, ferro battuto che circondava in un freddo abbraccio una grande casa. Una casa ricca in un quartiere giá alle soglie della cittá, ma col cuore vibrante di mille pulsazioni, pieno di quella forza che solo il potere occulto ed efficace del denaro puó dare. E intanto, centinaia di piccoli fiori bianchi, quasi incollati come ciuffi di crema tra il verde delle foglie, sparsi a casaccio ma con elegante misura, osservavano come fossero piccoli occhi.
Guardavano come si era fermata, sbigottita e incredula, davanti al loro odore, concentrata direttamente sul quel profumo che, senza essere né sobrio né distratto, ma lusinghiero e lussuoso, la stava imbrigliando.
O forse era il ricordo di tempi andati che la incatenava, legandola a sé come fosse filo d'erba cattiva? O edera che s'intreccia e si arrotola, s'avvinghia e preme e cerca spazi tra gli spazi altrui, bevendo di una linfa che non le appartiene?
D'improvviso, veloce e rapido come quel profumo, davanti agli occhi, dal verde scuro e lucido della siepe si stava insinuando la forma lineare dell'orizzonte, lontano. Un orizzonte contro il quale sbattere lo sguardo, inciampare e caderci dentro. Un orizzonte quasi di cristallo, trasparente e sottile, una lastra di vetro nella quale gli occhi avrebbero potuto ferirsi e poi sanguinare gocce d'immenso infinito.
Mancava soltanto l'istante di un sospiro per raggiungherlo e toccarlo davvero: cosa incredibilmente impossibile. Come quando ci avvolge la sensazione di aver giá visto, di aver giá vissuto. Un deja-vu incomprensibile e arcano, manifesto soltanto nelle tortuositá della propria intima essenza.
E la siepe era un mare calmo, bonaccia piatta, totale assenza di vento, tranquillitá riposante e serena.
La strada che a quell'ora sembrava quasi emettere radiazioni luminose tanta era la luce ed il calore, diventata oggetto di un sortilegio, comandata quasi dall'intensitá del profumo, si era trasformata in quel viale che costeggiava il mare, a Fano.
Fano...antica dimora.
Frastagliata di mura ormai rotte qua e lá, vestigia di un nobile passato imperiale, figlia e suddita di Roma, ancora, a rimembrare un passato giá cosí remoto, sfoggiava un arco all'entrata della cittá, la statua di un augusto imperatore e un giardino pubblico, dominio di gatti e uomini randagi, che i Fanesi chiamavano "il Pincio" per far onore alla grande capitale o, chissá, a se stessi.
La Fano romana, la Fano dei Cesari, suddita e alleata, fedele e schiva, continuava a raccontarsi, dopo piú di duemila anni, attraverso la favola di un tempo, divisa tra Roma e il Medioevo, non sapendo, lei stessa, da chi o cosa farsi condizionare.
E costeggiando le mura fiancheggiate ora dai binari della ferrovia, lasciandosi quasi alle spalle la cittá vecchia, si raggiungeva il mare dalla parte del Lido: con i suoi negozi e gelaterie dai nomi variopinti, bazar e locali alla moda, non era diversa da qualsiasi altra cittadina di periferia dove peró la gente si orizzontava cercando il mare.
Il mare era la bussola e la stella polare per uomini e donne avvezzi all' odore acre e pungente di salsedine, abituati alla morte e alla vita, ambedue sorelle di uno stesso destino.
E per lei, figlia della pianura padana, nata da fitte nebbie e umiditá, "...e fiumi che trasformano i padani in marinai non veri...", quel mare era il sogno che avvolge i naviganti pur non essendolo lei, ovviamente.
Lei era un pirata e rubava quel che non le apparteneva: nelle mani callose abituate a tirare le reti o nelle cicatrici profonde sulle facce e nelle vite dei marinai, di nascosto, cercava tracce di storie da poter raccontare, inventando nomi o situazioni, ma lasciando sempre intatto quell'amore per il mare, ancestrale e puro, emotivamente perfetto, come quello dei romanzi d'appendice.
Cosí, anche lei ubriaca si solitudine e di sale, come i vecchi marinai delle osterie del porto, rubava immagini per metterne insieme altre come in una sinfonia di parole perché era l'unica maniera per sentirsi un po' meno sola.
E intanto, tutto il ricordo si spandeva in un unico profumo a migliaia di km dal mare, lontana e distante ormai dal tempo che l'aveva scatenato, quel ricordo, a volte cosí duro da ricordare.
Il pittosforo era quel fiore bianco e delicato che quasi la rappresentava. Prima di tutto perché, proprio come lei, fragile e aggressivo nell'imporre la supremazia del suo profumo, aveva poi dentro di sé, nella stessa timidezza, quella forza che gli permetteva sconfiggere la furia tremenda delle mareggiate. Sopportava, indenne, lunghi mesi di onde, di spruzzi, di bora, vento feroce che soffia impetuoso e impietoso da nord-est capace di strappare le radici dalla terra per scaraventarle nel mare.
Sopportava il caldo afoso dell'estate, una misticanza pesante di umiditá condensata e sudore, quel garbino malevole, vento di libeccio appiccicoso che chiude i pori asfissiando pelle e gola.
E tuttavia resisteva alle stagioni e ai venti, impavido, solenne, per tornare a regalarsi giorni pacifici di una tarda primavera che sempre tornava.
Il lungomare, a Fano, era pieno di pittosforo: siepi tutte uguali, in altezza e spessore, che quando fiorivano riempivano l'aria con quel loro odore dolce, fastidioso a volte, insinuante e pungente, persistente e seduttore, tanto da essere ricordato negli anni e a distanza quasi fosse stato un amante generoso.
In effetti, quel profumo e quelle siepi di pittosforo, non immaginava come fossero cadute lí. Non é esattamente una pianta di cittá come potrebbe esserlo la viola del pensiero, vellutata e romantica nella sua delicatezza; o la margherita, proletaria e disinvolta; o l'ortensia, signorile e superba come la magnolia...
Non ci si riesce ad immaginarlo come un elegante uomo d'affari, giacca e cravatta in tinta, scarpe di vernice e cellulare d'ultima generazione, mostrandosi, altezzoso, per le vie della cittá. No, il pittosforo normalmente costeggia le spiagge come un vecchio lupo di mare, schivo e selvatico, un po' antipatico e senza dubbio tenace; con un berretto di lana blu in testa anche se il termometro promette 40 gradi; barba lunga e, nelle tasche, insieme a un piccolo cavalluccio marino disseccato, odore di mare.
Eppure, stava lí, in uno dei quartieri piú eleganti e residenziali di Madrid, tra il Ramón y Cajal e Plaza de Castilla, a Mirasierra: che giá il nome avrebbe potuto essere un intero programma di vedute da un aereo in volo e panorami di rara bellezza stereotipata.
E cosí, tra edifici di cristallo ed acciaio, giardini delimitati da guardie giurate ed alte siepi, scale di pietra grezza che cercano, invano, di ricreare quell'ambiente bucolico ormai dimenticato, lontano persino dalle sponde del Manzanares, il pittosforo confonde le menti di businessmen maleducati a Mirasierra.
E lei, mentre il ricordo sfumava quanto piú si allontanava dal suo profumo, profanando il potere basico e banale di conti correnti milionari, cominció a salire la scala dai larghi gradini di sasso.
In alto, al secondo piano, a metá strada tra i sogni incerti ed il cielo, l'aspettava un altro colloquio, un altro esame...altro giro, altra corsa...
Saluti e baci... 

3 commenti:

  1. profumi di vita e di nostalgia, dragonessa... languori...
    Continua, leggerti è un sogno che si svela! Marta

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  2. Ahi Martina...se ne fossi convinta anch'io...che bello sarebbe,no? Con l'amore di sempre, ciaus bella...ili

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  3. e lí andró a lavorare...ma ci pensi?Un pezzo di cuore sfibrato e ricomposto da un profumo....

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