martedì 31 maggio 2011

L'amico é...

Continua scuro il cielo, sembra essersi dimenticato d'antichi attimi immacolati di luce viva. Nascosti in qualche angolo, oscurati dall'ombra delle nuvole che minacciano, di nuovo, l'entrata del sole.
Vorrei, almeno io, essere piú luminosa nei miei atti, almeno quelli del pensiero: invece Ghiaccio, il fratello che mi accompagna, non sta bene e io ho passato la notte sul divano vegliando in silenzio il suo sonno disturbato da una tosse impossibile.
Mi sento male al solo pensiero di poterlo perdere, che mi possa lasciare davvero sola perché é cosí che, alla fine, mi sentirei quando arriverá quel momento della separazione.
Quante cose ha vissuto con me, quanti giorni e pace, notti e misteri, giorni e dolori, notti e disamori...quante cose insieme, Ghiaccio!
Nessuno, né essere umano né animale, sa di me tutto quel che lui sa perché ha condiviso lacrime e risa e ci siamo cullati e viziati, curati e medicati, l'una all'altro, senza chiedere nient'altro. Basta quel sentimento inconfondibile che sempre ci ha unito, quell'immediato capirsi e comprendersi , quella magia di sguardi obliqui che ci scambiamo anche se spesso nessuno li vede.
Ma lui é forte, passerá la tosse insieme alla mia paura: come sapesse che non mi puó lasciare, mi guarda, mi segue quando scrivo e si appoggia sui miei piedi sotto la scrivania.
Se togliamo dalla lista qualche essere umano, posso dire senza timore che é lui il mio migliore amico: peloso e bianco, quasi bilingue ormai, compulsivo negli affetti e nelle effusioni, simpatico e pauroso, ciccione e goloso di yogurt e gelato. Un bambino capriccioso come me, per questo ci intendiamo cosí bene.
É quel che si dice un legame, quell'anello, ultimo e perduto, di una catena che si é spezzata quando me ne sono andata per non tornare. É quel che mi unisce al mio passato: é l'unico essere che ha vissuto insieme a me la difficoltá del non capire, é quel che mi rimane di un capitolo giá letto, di una storia scritta su pagine che posso, ormai, soltanto sfogliare per ricordare.
Saluti e baci

lunedì 30 maggio 2011

E si fece buio su tutta la terra...

E all'improvviso, il cielo cade sul mondo, dimentica l'orizzonte, fonde le sue linee con quelle della terra. E apre il suo cuore.
Cambiano i colori: dall'azzurro al celeste, poi al grigio perla e, infine, un grigio acuto e spesso, quasi una nebbia gonfia di acqua, copre quella linea invisibile che ci separa dall'ignoto.
E cade giú, veloce e violento l'indicibile: acqua e fuoco, le scintille dei lampi ed il frastuono dei tuoni, gocce di pioggia dura che quasi faticano a sciogliersi nella terra. Soltanto scivolano quali pattini trasparenti e lasciano scie, rigagnoli gonfi e scuri.
Sull'asfalto, invece, sfrecciano le gocce come fiumi indomabili, si specchiano dentro loro stesse prima di scappare via, spaventate dal cielo che minaccia e corrono, corrono...
Un grande ventaglio copre la terra, un ventaglio d'aria e di vento che una mano gigante, il cielo, muove senza sosta e con tenacia.
Dalla finestra la pioggia si vede distante: si vedono le gocce riunite in file verticali e spostate senza tregua, mosse da quelle dita anonime che grattano sul mondo stesso.
Si vedono come fossero un esercito all'attacco, distante, ma che sta arrivando e vincerá; si vede la forza di cavalli galoppanti che alzano polvere d'acqua al passare.
All'improvviso, il grigio diventa nero e la notte scende placida e assonnata sulla terra quando ancora mancano ore ed ore alla sua ora, quando non c'é riposo ma frenesia spinta dal vento.
Allucinante sogno, un sogno che fa dell'immaginario un tempo reale, che costruisce se stesso tra una goccia e l'altra creandosi un cammino, passaggio verso il chissá dove.
La grandine, poi, comincia a picchiettare maligna sui vetri come chi vorrebbe entrare ed ha perso le chiavi. Bussa, batte i pugni, testarda ed intrepida.
Intanto, l'oleandro si piega per non spezzarsi. I rami gonfi di fiori che stanno per schiudersi, paladini di una tarda primavera, chinano il capo e si proteggono o proteggono i boccioli, come una madre amorosa.
E le petunie, violentate nella loro fragile delicatezza, aprono e chiudono i petali come bocche, come labbra di velluto colore del granato, rosso scuro come sangue.
E Ghiaccio guarda da sotto il tavolo quel che non capisce, quel che sta succedendo: il giorno senza luce, rumore picchiettante sulle finestre, pioggia a scrosci a mano a mano sempre piú costanti e violenti.
Fuori, nel cortiletto sotto la cucina, c'é un tappeto di chicchi ghiacciati, coriandoli irridescenti e pesanti
Ma come é venuta, all'improvviso e senza avviso previo, la notte torna a mescolarsi con la luce e piano piano torna a dormire.
Allora il sole, timido e assorto, ricomincia a pennellare il cielo di un colore azzurrino, quasi un mare di idee frastornate nella tela celestiale.
In lontananza ormai, piccole nuvole bianche galoppano come purosangue lasciando orme impercettibili, forse soltanto il fumo leggero del loro fiato.
E tutto, la terra in simbiosi con il cielo, alimentandosi l'una dell'altro, torna normale: la luce, il giorno, la pace...e va via la paura.
Gli uccelli ricominciano ad intonare chiacchierii sommessi e canti gutturali; persino le cicale sono arrivate, le rane e un corvo, lontano.
La vita, quella che non ci abbandona finché il nostro gioco comanda la partita, soffia incondizionatamente.
Saluti e baci....

venerdì 27 maggio 2011

Plaza Catalunya, oggi...

Cronaca di una morte annunciata...

Quello che sta succedendo a Barcellona é proprio questo, la cronaca di una morte, o meglio, di un omicidio: "los mozos de escuadra", la polizia autonomica catalana, sta assassinando la voce della gente, la voce insistente di un popolo stanco di bugie, di promesse.
Antefatto: la gente si era riunita nella Plaza de Catalunya dal 15 maggio scorso semplicemente per protestare contro un corpo politico ormai in putrefazione; contro una politica d'interessi che tutto ha rispettato meno gli interessi stessi della gente.
E attraverso le reti sociali, cosí come a Madrid a la Puerta del Sol, la gente aveva cominciato a confluire e creare quella specie di cittá stato che da sempre ci é negata: una biblioteca nata da libri portati in piazza da questo e da quello, una mensa con tavoli e cucine da campo per dar da mangiare a chi lo voglia o ne abbia bisogno, laboratori d'artigianato, asili e punto d'incontro per i bambini con giochi e animazione...insomma, un villaggio vero e proprio che dal virtuale del FaceBook o del Tuenti, era diventato realtá per tanta gente stanca, assonnata e persa nel sopore di una politica che non si riconosce e nemmeno riconosce se stessa....e che si era svegliata
Questa mattina sono arrivati 1300 agenti della polizia autonomica e hanno cominciato a smantellare tutto con la scusa di pulire la piazza. Bugia: gli stessi accampati pulivano e rispettavano le norme di igiene e sicurezza con un loro servizio d'ordine preposto.
Ma bisogna dirlo...domani nella stessa piazza, ci si aspetta la celebrazione per la vittoria del Barça in una delle tante coppe e coppette!
Quindi, mi domando, io e molti altri: molto piú importante o forse redditizio é montare uno spettaccolo sportivo-calcistico?
Sfortunatamente sí. Piú importante della voce della gente che, nonostante le manganellate date a destra e a manca senza ritegno, nonostante le cariche della polizia, non si muove...lo sto vedendo alla tele: botte contro gente disarmata, seduta per terra in protesta pacifica...incredibile...calci contro gente e famiglie intere che in silenzio si negavano ad andarsene, mani alzate in segno di non-violenza...ma che gliene importa?

Los mozos de escuadra hanno rubato computer con notizie e informazione, hanno caricato sui camion tavoli sedie materiale...un vero e proprio abuso di potere!
Dicono che l'azione é stata coordinata dal comune di Barcellona e dal consigliere di sanitá e la ragione data: mantenimento dell'ordine igiene e salubritá della piazza!
La gente filma, dicono che manderanno il risultato della cronaca di quello che sta succedendo ai giornali e televisioni europei.
É questa la democrazia che ci impongono?É arrestare e picchiare violentemente gente disarmata?
La gente é piena di sangue...e la gente intervistata dice "este presente es una mierda..."...e quale ragione hanno!
Mi piacerebbe che si diffondesse, che si sapesse quel che si sta cuocendo nelle piazze spagnole e particolarmente a Barcellona che é una delle cinque cittá di Spagnadove, bisogna dirlo, c'é una giunta di sinistra recentemente vittoriosa...

Che vergogna sento, quasi fossi Spagnola, vergogna che si veda nel mondo l'ipocrisia di questa "autoritá"che dovrebbe avere l'autoritá data dal popolo ed invece contro il popolo agisce!
Ho telefonato a Radio Popolare per chiedere se avevano ricevuto la notizia...m'hanno detto che mi richiamano, ma se non lo fanno non mi importa...io ho le mie parole...
Saluti e baci....

mercoledì 25 maggio 2011

Ciuffi d'erba...

Nell'aria vibra l'odore d'erba tagliata. Come un ballo d'ombre non viste, aleggia respirando per dar passo alla sua imprevesibile e casuale vita.
Un odore vive di se stesso e lo alimenta forse il vento vagando qua e lá e raccogliendo nella sua essenza altri profumi.
Forma una scia inconsistente nella gracile gratuitá dell'istante in cui si forma e si compone.
Ma é a volte piú importante di una architettura visibile, di una sembianza tangibile, di un complesso fisico con linee proprie e silhouette: piú forte ed ossessivo perché appartiene alla memoria, a fatti e gesta giá vissute che si intromettono nei pensieri dell'oggi acutizzando il passato.
E quest'odore d'erba, penetrante e pressante, rende l'ambiente bucolico e impalpabile, come impalpabile é il profumo stesso.
Ma quanta forza porta con sé, quanto ardire sfiorando la stessa aria!
E io, che ormai vivo nel circuito globale limitato dal bosco del ricordo, perdo consistenza in questo odore.
Saluti e baci...

L'isola non trovata...

Forse quello che piú mi fa male é la solitudine, quella sensazione giá ormai fisica di non essere visibile, di non essere percepita dagli altri.
Mi sento ferocemente sola, come il ciuffo d'erba cresciuto tra i sassi, come l'ultima goccia d'acqua caduta quando si annaffiano i fiori, quella lacrima che giá non incontra il suo mare e rimane lí, fossilizzandosi nel sale di se stessa per poi sciogliersi, dimenticata.
Ma sola non sono in realtá, c'é gente che mi cerca e che mi vuole bene: quello che sento é soltanto mio, parte di quell'essere sociale che sono e che non riesce a sfogare la sua vera essenza.
Cosí, tra alberi e foglie immote nell'aria di questa tarda primavera, sotto un cielo cosí azzurro da non osare nemmeno sfiorarlo con gli occhi, tra parole d'altri, scommesse sulla vita, si allarga questa sensazione di assoluto isolamento. Un'isola nei prati verdi, ormai lontana persino dal mare, dall'elemento che ha formato i bastioni del mio sentire.
Lontana da una terra forse soltanto immaginata nell'assenza, ma é la mia terra perché io la sento mia. E nonostante difetti difficoltá e bruttezze, é lí dove vorrei essere: passare giorni ascoltando il linguaggio dell'infanzia, le parolacce austere a volte, non certo colorate come qui.
Ma, ormai, é normale per me uscir di casa e non stupirmi di una lingua straniera.
Come invece sí mi scuote e mi fa tremare, ogni volta che ritorno, ascoltare per la strada le mie parole, il mio accento, quel che non c'é piú.
Mi dicono "Non sembri italiana...": magari pensano di farmi un complimento e, a loro vedere, si stanno congratulando del mio parlare.
Ed io, invece, mi sento male, sento allontanarsi le mie radici, le sento strisciare su di me come fossero ormai soltanto ragnatele e non solide dita aggrappate alla terra.
Com'é strana la vita, no? Ho sognato questa terra fin da bambina...sposeró un torero, dicevo; mi sentivo a casa soltando oltrepassando la frontiera e i Pirenei erano i miei sassi, il mio vento; la Costa Brava o del Sol erano il rifugio anelato...
E adesso? Mi chiedo spesso perché non sto bene in nessun posto, perché questa curiositá non costruisce in me, ma distrugge...chissá...
E torno, quindi,a sentirmi sola, come una nuvola che corre corre e non si incontra mai e che invece si scioglie o s'abbandona all'invito confuso della pioggia...e poi scompare...
Saluti e baci...

lunedì 16 maggio 2011

La fisarmonica...

Le lenzuola fanno il gioco del cielo, azzurri piú chiari e poi piú scuri che sfumano in certo tipo di verde che ricorda l'acqua del mare piú che il cielo. Ma non importa.
Poi ci sono gli scacchi della geometria, anch'essi persi nelle stesse tonalitá, magari inseguendo virtualmente le nuvole bianche che si sono fermate, a gregge pasciuto, proprio sopra il tetto.
Perché di solito, invece, le nuvole le vedi correre ed incastrarsi tra di loro disegnando figure, cancellando le precedenti e formandone di nuove, come pennellate nell'aria.Oggi invece no: immota l'aria e le nuvole, nemmeno un soffio di vento. Niente.

Anche oggi, sola nel salone, cerco di ricordare gli istanti, qualsiasi attimo che mi riporti ad un'emozione dato che, ultimamente, piú che di sensazioni ed emozioni potrei parlare di vertigini emotive che mai sono del tutto buone per il cuore.
A quest'ora giá avrei aperto il computer, giá avrei cominciato a lavorare e sudare in quell'antro senz'aria che chiamavano gentilmente ufficio.
Peró, per arrivarci, scendevo alla fermata di Santiago Bernabeu, o "Cuernabeu" come lo chiama normalmente José dato l'odio atavico, e virtuale anch'esso, dei fans dell'Atletico de Madrid verso i Madridisti.
E il Bernabeu, ahimé, é il regno, scettro e corona all'unisono, del Real Madrid...
Ma torniamo a monte, come si diceva negli anni settanta, o almeno diceva chi di politica o di atti socio-economici parlava...
Erano cinquanta minuti di metró, cinquanta minuti di sbadigli invidiosi davanti e accanto a me. Io normalmente no, quando butto i piedi dal letto giá sono sveglia.
Cinquanta minuti di pagine lette e di domande che non affioravano o, se lo facevano, non trovavano mai risposte chiare.
Cinquanta minuti prima di arrivare.
La linea 10 del metró di Madrid, dall'Hospital Infanta Sofia, mi lasciava esattamente davanti allo stadio e soltanto pochi passi ancora separavano la ragione dall'irrazionale che era quel che suggeriva, almeno a me, quel sedicente lavoro.
Ma prima di salire per strada, appena scesa dal vagone, una musica fatta come di ovatta, risvegliava anche le menti piú assonnate.
Il primo giorno, stupita, camminando m'accorgevo d'avvicinarmi sempre di piú alla fonte delle note, passo dopo passo era come convergere, muovendosi da punti diversi, verso un unico punto d'arrivo.
E in fondo alla scala mobile, o al principio, dipende da dove si guarda, un signore, cinquantacinque sessant'anni, mi sembrava che stesse raccontando al mondo intero la sua solitudine attraverso i tasti e poi le note della sua fisarmonica.
Paso doble, bolero, ballate...tango...
E quello che in un qualsiasi dancing d'altri tempi avrebbe invitato a ballare, in questo momento esatto, a me almeno, faceva cadere lacrime come goccioloni di tristezza infinita.
E all'improvviso, dai ricordi affiorava mia madre, giovane e ballando, con un sorriso immenso che illuminava la sua faccia e accendeva i due smeraldi profondi che aveva negli occhi...e ballava e ballava...ballava...
La fisarmonica era il suo strumento favorito ed é per questo che ogni volta che l'ascolto mi torna in mente con violenza quasi. Si fa breccia tra gli altri pensieri e salta fuori piú bella e viva che mai.
Sará per quello che mi commuove ascoltare qualcuno, chicchessia, suonarla. Sará per quello che, insieme ai tasti, sembra toccare, profondamente, le corde del mio cuore.
Poi salivo su, quasi sempre in fretta per non arrivare tardi: e la magia cadeva a terra frantumandosi.
Non restava altro che il lavoro, quell'ufficio quasi finto, il caldo, i computer, quelle telefonate inutili...e la tristezza, che giá non era malinconia ma vero dolore, ricominciava ad opprimermi il cuore.
Fino alla sera quando riprendevo il metró, altri cinquanta minuti di sonnolenza intorno a me e di dissapori in fondo al mio essere...ma poi c'erano le note, la musica di quella fisarmonica sconosciuta e mia madre con me ad accompagnarmi nei cinquanta minuti che mi separavano da casa. Un altro giorno andato, un passo in piú...
Saluti e baci... 

domenica 15 maggio 2011

"Signor dottore...eccellenza...commendatore"...ma chi sei?!?

Ormai, i pirati, non vanno con grandi velieri solcando le onde come ne facessero parte, come se fossero loro stessi acqua di mare. No.
Adesso, i pirati, vanno in giro con vestiti di marca, camicie immacolate dai tenui colori e cravatte di seta intonate all'abito e al calzino.
Belli, lucenti come brillanti sfaccettati, alcuni sono cosí, quelli che possono permetterselo.
Altri, meno belli, sfoderano sorrisi a denti bianchi, rifatti e cari, simpatia poco cara e fazzoletto al taschino.
Non hanno bisogno d'issare nessuna bandiera con teschio nello sfondo nero, perché lo sfondo nero é la loro anima sporca.
Quel teschio e quelle ossa sono le idee scalcinate di qualche povero illuso caduto nella rete e le ossa, sempre sue, dell'illuso di turno. Di chi crede, ancora, che non ci si inganna tra esseri della stessa specie, come non si ingannano i cani o non si rubano il cielo i passerotti nei loro voli: solo si annusano i cani, si sfiorano gli uccelli tra le nuvole...
Invece, l'umano é quell'essere imperfetto che sfida sua madre, la Madre Terra, che violenta la perfezione del creato.
E non contento, sfida a dadi l'altro essere, quello come lui, quello della sua stessa razza. Ma non per la sopravvivenza,no. E nemmeno lealmente, no.
Bara e gioca sporco soltanto per essere piú grande, per avere di piú, per il gusto d'ingannare, di sottomettere, di schiacciare.
Io che da piccola avevo una banda di malindrini, mi tiro fuori dal gioco, non ci gioco a carte se il mazzo é truccato. Non sono un pirata, di questo sono sicura.
Il vento continua ad agitare la mia bandiera che é quella bianca non perché mi sia arresa, no. Bianca come i vestiti dell'estate, come quelle nuvole che non portano pioggia. Bianca come la trasparenza, ancora, delle mie idee e del mio agire rispettando sempre l'altro essere che passeggia o corre o si ferma accanto a me...in questo cammino antico e solidale che é per me la vita.

"Ma che ci volete fare...io di risposte non ne ho....é l'istinto che mi fa volare...no, non é una cosa seria, non mettetemi alle strette...che politica che cultura...sono solo canzonetteeee..."
E forse é vero, ha ragione Bennato e tirarsi fuori dalla mischia a volte serve.
Saluti e baci....

lunedì 9 maggio 2011

Leggendo, sul filo del mio tempo...


 

Leggo seduta accanto al vuoto rumoroso di una panchina.
A due passi una fermata di metró, una bocca aperta al sottosuolo di questa grande capitale, Madrid, che riesce ogni volta a stupire gli occhi con la sua elegante, austera bellezza.
In questo quartiere, Serrano, dove la ricchezza si respira nelle facciate delle case, brillanti nella loro antica vita pulita e rinnovata, stucchi bianchi, a tratti, come panna spalmata con dovizia.
Si intravede dalle finestre, alte: vetri come specchi che frantumano irridescenti scintille d'arcobaleno quando il sole sbatte la sua faccia rotonda su di loro, da dove i soffitti spiccano voli leggiadri tra foglie d'oro e piume d'uccelli che mai apriranno le ali al cielo.
E nei negozi si vede quella sottile patina che lascia il denaro, dissipato tra le vetrine come nebbia che si spezza e sfuma.
Vecchie signore, imbellettate, passeggiano la loro etá e i loro cani.
Si muovono tra le pieghe di un altro tempo. Come musei andanti mostrano le loro gioie magari false: quelle autentiche, chissá, nascoste in una cassetta nei caveaux delle banche che, libere sentinelle, si mettono sull'attenti al loro entrare.
Ma poi, all'angolo di una chiesa, sui gradini che salgono al portone di quel palazzo distinto, signorile l'ascensore antico, lucidi i pomelli d'oro delle porte, dentro questo finto mondo ricco, una ragazza. China su se stessa, inginocchiata sul suo corpo, nascondendosi la faccia tra le mani.
E davanti a lei soltanto due parole scritte su un cartone, "Tengo hambre",ho fame.
Fame, magari, di un mondo diverso dove nessuno dovrebbe aver piú fame, quella classica, quella che chiede pane.
Certo, i miei 50 centesimi non cambieranno il suo stare inerme davanti ad un passaggio di gente cieca.
Non cambieranno il nome dei suoi bisogni.
Nemmeno serviranno ad ideare e costruire un mondo equanime dove i giorni sono assolati per tutti e per ciascuno. E le notti non fanno tremare di freddo e paura.
Ma oggi, in Nuñez de Balboa, nella C/Velazquez, mi sento molto piú vicina a quella ragazza china su se stessa con l'eleganza del suo silenzio, che ai palazzi e ai privilegi di poca gente che si scontrano con l'amarezza e la disillusione di troppi.
Saluti e baci....