domenica 30 dicembre 2012

¡Feliz año nuevo!

Si dovrebbero fare i conti,no? O gli auguri almeno.
" Un altro anno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è già passato e passerà..."
Ma poi, alla fine, sono sempre quelle le cose che si dicono: auguri, buon anno, tanti auguri...e la maggior parte delle volte nemmeno t'interessa se quello o quell'altro avrà o no un buon anno.
Io cerco almeno di non esagerare. Se mi fanno gli auguri rispondo, ovvio. Retaggi di un'antica educazione che, nonostante siano passati anni ed anni, ancora mi accompagna, indelebile, indimenticata.
Altrimenti taccio, non dispendio serena energia a destra e a manca, non serve e non mi piace.

Ma agli amici, quelli veri, quelli che, per me almeno, usando una strofa conosciuta, "...ma proprio perchè pochi son buoni fino in fondo...", a quelli sì vorrei fare gli auguri, di cuore, dal profondo: di salute innanzi tutto, che sembra un luogo comune e non lo è.
Per chi, come me, ha sperimentato l'assenza della stessa, è importante marcare il punto d'inizio! Salute per vivere e lavorare, per gioire e per piangere anche. Ma almeno senza i dolori del corpo, quelli che ti impediscono ogni altro pensiero.
Salute per curiosare nella gente e nel mondo, in posti sconosciuti e lontani. O in luoghi già visti e vicini, familiari e costanti nelle loro nebbie, nel cielo azzurro, nelle vecchie case o nei palazzi. Nei contorni primaverili o invernali.
Per tutti voi, e per me, che sia un anno pieno, rigonfio di salute!
E di serenità. Quella che ti aiuta nell'incertezza, nel vivere quotidiano, monotono a volte, sì, ma lo stesso parte del tuo instancabile presente.
Serenità per far fronte ai problemi, alla vita che ti corre incontro e a volte ti sbatte a terra, a volte ti supera e ti lascia indietro, la tua stessa vita. I tuoi giorni lenti o frenetici, faticosi o lievi, ma pur sempre parte del tuo essere diverso, differente dalla massa che non sa o non vuol sapere.
Per tutti voi, e per me, che sia un anno sereno, in pace!
E di voglia ancora di lottare. Per chi ancora non ha diritti e sono tanti, troppi.
Per conquistare quello spazio negato, rubato, nascosto. Contro chi ci vuole sottomessi, incredibilmente deboli nell'ignoranza. Malati psico-fisicamente, così che la realtà ci sembri soltanto un bisogno personale e non un diritto sacrosanto. Come il lavoro, la sanità, l'educazione. E la casa, la cultura...
Per tutti voi, e per me, che sia un anno di conquiste in un mondo ancora idealmente da conquistare!

E i buoni propositi? Quelli che...non fumo più, vado in palestra. Quelli che...finirò quel racconto, metterò in ordine le idee.
Quelli che resteranno solo propositi e quelli che invece si faranno reali, forse pochi, forse tanti, chissà tutti.
Anche ai buoni propositi, buon anno!

E gli altri? " I santi tristi"? Di quelli non mi importa. L'indifferenza è quel sentimento ancestrale che mi hanno insegnato proprio loro, che non conoscevo perchè, in qualche angolo recondito del mio cuore di panna, ho sempre creduto che l'essere umano è tendenzialmente buono, nobile e sincero. ¡Vaya gilipollez!
Così che...dal profondo del cuore, auguri a tutti quelli che mi vogliono bene e ai quali voglio bene..."ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare...e a culo tutto il resto!"
Saluti e baci.... 

venerdì 28 dicembre 2012

Do ut des...non sempre...

Il prato, i ciuffi d'erba, vestiti come di pallettes brillanti a festeggiare in anticipo un anno che va via. Nel gelo di una notte passata. Ora il primo sole scioglie i cristalli creati dalla notte, così come il giorno scioglie i sogni e vi getta, tu e i sogni, scartati come caramelle già succhiate, sull'asfalto.

È passato un anno, un anno quasi. 365 giorni fatti di milioni di ore e milioni e milioni di minuti....secondi, meglio non contarli!
Pare che non abbia avuto niente da dire e non è così. Tante sono le cose successe, tante. Milioni di milioni, quasi come le stelle o le ore ed i minuti passati. E non indenni, no.
Hanno tracciato il loro cammino nelle vite, nella mia vita. E lasciato solchi, arati e non arati, seminati e no.
A volte calchi fatti di pasta di zucchero, lavorati, stirati e ammorbiditi dal calore delle mani.
A volte si sono incastrate nel cemento, indissolubili. E restano lì, memoria identificata e da identificare. Ma crudele, come crudele è spesso il ricordo.
Sono cominciati giorni e giorni, quegli stessi, se ne sono andati non senza voce, spesso gridando e piangendo. Poche volte sorridendo.
Ho vissuto, questo sì. Bene o male.
E ne è valsa la pena? Come sempre. Sì.

Mesi e mesi di call center, di distruzione fisica e mentale.
Chi non ha lavorato mai in un call center non può sapere e nemmeno capire.
È quello che negli anni sessanta era la catena di montaggio, alienante e bruta. Triturando pensieri e parole, le domande si fanno e alle stesse si risponde, quando si può e come si può.
Ma risponde qualcuno mai alle tue domande? A quei quesiti che ti opprimono? Alla tua voglia di giustizia? No, nessuno, mai.
E non perchè non ci siano risposte. Quel che manca, veramente, è il desiderio di trovare soluzione alle domande, di trovare un punto d'incontro almeno.
La verità è che rispondere o dare ascolto almeno alle domande significherebbe perdita di denaro, semplicemente.
Rispondere ai bisogni, non con le parole che continuano ad essere portate via dal vento, ma con fatti concreti, con concessioni che dovrebbero essere sacrosanti diritti, vorrebbe dire ammettere un errore nella valutazione dell'essere umano.
Certo.
Nel call center, prima che persona, e spesso "invece di persona", sei l'appendice di un telefono. Sei soltanto una voce. Nemmeno dita che digitano numeri, non è più necessario. Ora ti mettono delle cuffie con un microfono annesso...ed entrano ed entrano telefonate, una dietro l'altra, una dopo l'altra.
"Yodeyma profumi, buongiorno sono Ilias....", centinaia di volte al giorno,sempre la stessa storia.
E nemmeno i cinque minuti di riposo visuale. Solo cinque minuti di pausa la mattina e cinque il pomeriggio. Al bagno solo il tempo stabilito. E a volte, dovuto all'ingente carico di lavoro, alzare la mano per poter andare a far pipì.
Catena di montaggio, sì.
Ricordi "Tempi moderni" di Chaplin?
Ma è questa la modernità?
Questo è il mondo che volevamo cambiare nelle manifestazioni, nelle notti dove scorrevano come fiumi limpidi le parole? Negli scioperi degli studenti con gli operai?
Nelle autogestioni, negli slogans...che tristezza!
Tristezza, malinconia. E poi rabbia. Una rabbia forte, ma non verso di loro: i padroni non saranno mai diversi, cercheranno sempre di guidare verso i loro orizzonti la tua vita, di pilotare il tuo fare verso il loro obiettivo.
La rabbia va diretta a tutta quella gente, ex colleghi, deo gratias!, che dal basso si prostrano dirigendo i loro corpi ancora più giù, ancora più in basso, annullandosi nell'accettazione di qualsiasi imposizione.
E poi si giustificano dicendoti che hanno bisogno di soldi, che devono mangiare e pagare l'affitto...
E non dovevano vivere e mangiare e pagare le bollette le persone che hanno lottato perchè tutto potesse essere differente?
E non avevano figli da sfamare, spesa da fare e mille altri impegni che non erano certo capricci, quelli che hanno fatto sì che, per un periodo almeno, le condizioni cambiassero?
Basta! Basta ormai di cercare alibi che non avete! Basta ormai di far finta d'essere alternativi, andare alle manifestazioni, certo, solo se sono la domenica mattina e non pregiudica nè il tuo stipendio nè la tua immagine di fronte al padrone.

Perchè questo avete voi tutti: un padrone come il più sfortunato dei cani!
Perchè il mio  cane, Ghiaccio, non ha un padrone, ma solo chi gli indica la strada.

Voi no. Voi meritate il giogo e le catene, la maggior parte di voi!
Sono tornata!
Saluti e baci...

venerdì 27 gennaio 2012

El pueblo unido...

Quel tappeto di seta blu che é il cielo...
Quel gioco di pedine luccicanti che sono le stelle ed i pianeti...Iuppiter e Saturno...e poi la stella del mattino...
Quel pallone di fuoco, incandescente e solitario che é il sole, tra poco nascerá per distinguere la luce dal buio...
Tutti loro, distanti come non mai dalle paure degli umani, agonizzanti nel cerchio ormai distorto che é la terra...che cercano la via, la parola mancante in un discorso interrotto...
Un sermone di insulti ed emozioni. Mentre io cerco giá nella memoria dei miei occhi i visi, le tracce di chi non vedró piú...
I colleghi di lavoro sono soltanto compagni di avventura o di sventura, secondo i casi: assioma di veritá...
Ma quante volte hai condiviso con loro sorrisi, risa e lacrime, presunte o vere, anelate o distruttrici?
Quante volte hai raccontato e ti sei lasciata raccontare disagi, imprecando contro un muro d'immoralitá?
E poi piú niente...tu o loro, o tu insieme a loro, a camminare per altre strade, a raccontare altre storie, scrivendo libri e pagine di sconfitte e delusioni.

E di forza e coraggio. E di pace e guerra.
Cantando altre canzoni. Assotigliando la melodia, stonando e distorcendo la musica iniziale.
Tutto, davvero tutto é un dettaglio nel girovagare dei giorni?
Un dettaglio incomprensibile il tempo che ti pone davanti situazioni e poi le riassume, tutte, in un unico ricordo?
Io non lo so.
So soltanto che mi piacerebbe ancora credere nell'essere umano, mi piacerebbe poterne indagare l'anima, la mia in primis.
Mi piacerebbe essere certa di essere parte di un tutto anche se il tutto, spesso, é soltanto un inutile dettaglio.
Spinta nel marasma opaco di un call center, a volte la vita mi sembra proprio una giostra, ballerina e scanzonata.
E l'essere umano, spesso, un'inutile vergogna che piú sale in alto, verso una gerarchia ignobile e spietata di decisioni arbitrarie, tanto piú si dimentica, o fa finta di dimenticare, i diritti ed i bisogni primari di chi é come lui.
Cosa importa se devi pagare l'affitto, mangiare ogni giorno? Se la tua vita scorre oltre i limiti di uno stupido ufficio? A chi importa di te e del tuo esistere?
Siamo soltanto marionette, burattini con le cuffie, parlanti o no, secondo i casi.

Siamo soltanto carne da arrostire al bisogno, bocconi di vita trangugiati e digeriti, dimenticati...
Cosí é, se vi pare...altrimenti fottiti!
E noi? Ognuno per sé e dio per tutti, certo...che tristezza!
Saluti e baci... 

venerdì 13 gennaio 2012

♫ ♫...Badabadan-badan...potere operaio...♫ ♫

Il cielo sembra un vassoio di biscottini di pasta di mandorle spolverati di zucchero a velo, bianco, quasi di latte.
Se all'improvviso lo zucchero si rovesciasse, comincerebbero a cadere da questo cielo grossi fiocchi di neve, ciccioni come mandorle pelate, morbidi come piume.

Non mi piace la neve, l'ho detto e ridetto, ma é sabato mattina, la luna non si vede, affogata nel succo nero di lamponi che pare essere questa notte che non finisce mai...e mi andrebbe bene qualsiasi cosa.
La settimana é passata, pesante, un fardello di ore che nemmeno l'orologio sapeva delimitare.
La prima settimana di lavoro e mi é sembrata come quei secoli eterni di buio medievale che nessuno ha il coraggio e la voglia di ricordare. Se non nelle leggende di dragoni principi e dame.
Per fortuna, le risate rompono la monotonia.
Per fortuna, a volte il call center diventa un palcoscenico e la vis comica di noi quattro sciagurati, rompe istanti di stanchezza infinita..."si ride per non piangere...", ma serve anche quello.
A volte, pensando e ripensando, mi tornano in mente situazioni di anni andati quando il potere, almeno nell'illusione della lotta, era nelle mani acerbe della gente che ancora ci credeva.
E mi rivedo in piazza, striscioni e canzoni colorate di speranza...anni giovani d'immature certezze.
Anni di singhiozzi per i diritti spezzati.
Ma se é certo che la Speranza fu l'ultima ad essere rovesciata giú dal vaso di Pandora...allora ci credevo...
Poi arrivi a cinquant'anni suonati e t'accorgi di essere tornata indietro, d'aver percorso un cammino a ritroso e di essere rossa come un gambero incazzato.
Perché i sogni son gli stessi, ma le speranze ormai son disilluse, cadute, frantumate, digerite dalla voracitá di un'intenzione.
E m'accorgo che per molti versi non é servito a niente lottare, gridare, insultare e tirare sassi...come un'intifada senza speranza, lontana dal raggiungere un qualsiasi divenire.
I diritti bruciati da un fuoco di potere e suggestione che rimangono sempre gli stessi, statici e stantii negli anni.
Parole che vorresti gridare e che invece rimangono lí affogate in gola.
Come se non bastasse pensarle e crederci.
Come se tutto fosse inutile...come no, inutile lo é, purtroppo.
Perché noi, banditi di un'idea, siamo rimasti gli stessi. Qualcuno é volato via, certo.
Ma noi che siamo rimasti e ci attanagliamo e ci incateniamo allo stesso ed unico desiderio di giustizia, ancora vorremmo credere nella possibilita di un cambiamento, di un dovere sociale verso noi stessi e la folla circostante, ignara, silenziosa e pia.
Invece, ci rendiamo conto e m'accorgo io stessa, che tutto volge al passato ed il passato é presente...
Spero soltanto non sia futuro.
Saluti e baci....

giovedì 5 gennaio 2012

Bella ciao....

Bella Ciao...per continuare a sentirsi a casa, anche se una canzone non cambia..."e con una canzone non si puó far poesia"...oggi non mi importa un bel niente quel che si dice si é detto o si dirá.
Il mio mondo rimane quello, senza sfronzoli e basico, resistendo come resiste l'albero...nonostante tutto!
Vorrei essere altrove, ma é qui la mia vita. Quella fatta di lavoro.
La mia terra, quella che mi ha visto sbadigliare di fronte al mare guardando e cercando un altro luogo; quella che mi ha visto bambina tra le nebbie e nevicate della Val Padana; quella che produce suoni familiari; quella che si alza e va a dormire prima, senza tante feste e schiamazzi. Quella terra é diventata luogo di vacanza...da non crederci!
Ma ancora ho addosso e sui vestiti l'odore del freddo di Milano e quell'abbraccio a mia sorella che, ogni volta, é piú difficile lasciare...non dimenticarmi eh...
Peccato.
Peccato che sempre bisogni lasciare qualcosa per trovarne altre di cose e lasciare qualcuno per ricongiungersi con qualcun'altro.
Peccato.
Ma questo offre la vita, quella che non conosce sogni o utopie ma ti trattiene dove c'é, al fine, la realtá vera, la quotidianitá.

Peró ho i miei spazi, quelli dove posso stare qui e lontano. 
Dove i voli pindarici diventano reali e li tocchi e stai bene.
Dove le idee ancora hanno una forma e le conosco.
Dove do del tu ai pensieri piú nascosti.
Dove anche il non esserci é esistenza.
Dove anche non toccare fisicamente diventa un sospiro e posso, riesco a toccare quei riccioli rossi e le gote bianche.
Una tazzina di caffé, nero e bollente, spuma nella crema e me la bevo, in piedi, al bancone di un bar.
Alla fine, ho quel che ho voluto e le licenze poetiche le lascio ad altri oggi.
Il sole splende e fa freddo. Il cielo sembra un bigné gonfio di crema azzurra.
La Sierra madrileña oggi raccoglie le sue idee in un angolo e mi lascia stare.
Saluti e baci....

lunedì 2 gennaio 2012

Madrid-Milano:andata e ritorno....

L'ultimo giorno a casa...e la tristezza ricomincia ad occupare quella parte di me che ora profuma di pizza, di caffé. Quello bevuto in piedi, al bar, caldo, poco, odoroso di chicchi appena macinati.
La tradizione orgogliosa di chi nasce con la sua tostatura tra le dita, di chi impara da piccolo a godere del suo sapore forte e persistente.
Risulta strano pensare che poi ti unisce a una terra, spesso, una tazzina portata alle labbra o una mozzarella filante: quanto é ripetitivo e abitudinario l'essere umano!
Ma, purtroppo, se diamo per scontato che sono le persone quelle che fanno di te quel che sei, l'amore e la consapevolezza di averle sempre accanto anche nella distanza, poi, quel che davvero ti manca, lontano da casa, sono gli odori ed i sapori. Almeno a me.
E i giorni sembrano sempre pochi...o sará l'etá? I giorni che sembrano correre via piú veloci ora che si ha la consapevolezza di non avere piú abbastanza tempo anche se si fa finta di essere eterni, ancora, come a vent'anni.
Il ricordo che sembra tracciare la via, quella stessa che, a volte, non traccia il futuro, almeno razionalmente.
Non so, sinceramente. Ma mi sembra sempre troppo poco il tempo che trascorro qui e troppo sottile il filo che mi ricongiunge alla nostalgia.
Cosí, oggi é l'ultimo giorno, l'ultimo giorno a Milano é arrivato inesorabile.
E domani niente trucco, matita o rimmel, perché piangeró e piangeró, come sempre...
Quanto vorrei tornare per sempre...o poi rimpiangerei Madrid ? O poi continuerei a sognare sogni che parlano Spagnolo? Avrei bisogno di quelle sue strade immense e della sua megalomania?
Non so, non lo so davvero, ma...
Ma oggi so giá che nemmeno riusciró a godere appieno dell'ultimo giorno. Gli "ultimi giorni" dovrebbero essere cancellati nel tempo, con il tempo e dal tempo.
Oggi cercheró quei vecchi films italiani del dopoguerra, quella commedia italiana scritta e diretta con poche lire e ancora cosí attuale e disordinata. Come disordinato e senza regole é rimasto l'individuo, fermo e statico nonostante il divenire di tecniche e affini. Statica la sua anima, irremovibile, purtroppo o per fortuna, nei suoi miti e desideri esistenziali.
E mi porteró, nella valigia svuotata, un po' di tragico buonumore, quello con cui sono cresciuta, quello che ha aiutato la formazione del mio pensiero, filosofico direbbe chi ha dominato il potere delle parole. Di vita direi io che dalle parole mi faccio solo sporcare le dita...
Saluti e baci...

domenica 1 gennaio 2012

Milano da bere....

E milano ritorna alla sua frenesia, quella di un giorno qualsiasi, dopo le feste.
Autobus e tram, auto che corrono via sfidando il silenzio del mattino che va scemando, giá, nel nuovo giorno.
Cambiano gli anni e le stagioni, ma Milano resta quel che é, un'arnia frenetica di api operaie che non dimenticano mai quel che il mondo vuole e spera da loro: produttivitá.
Guardo fuori. Da questa finestra che inchioda gli occhi alla realtá quotidiana, il mondo sembra non essere cambiato mai a Milano.
Dall'infanzia alla giovinezza e poi all'etá quasi matura, Milano e i suoi rumori, Milano e la sua gente, Milano e i suoi odori, sembrano essersi fermati nell'operositá di un mondo antico dove arte e mestieri si fondevano nelle vecchie strade medievali.
Anche nel progresso del passare degli anni, Milano rimane una macchina che corre via, veloce e rumorosa cercando la sua strada o il suo destino, ingegnando fra traffico e inquinamento le sue idee.
Milano che dorme é quasi un sogno, quasi un'utopia.
Come un'utopia, un semplice desiderio, rimane e rimarrá il momento in cui anche le idee abbiano un valore che non si compensi con moneta o che, meglio ancora, non si esiga si svilluppino solo da chi le possa monetizzare.
Che meraviglia se le idde avessero, finalmente, un posto d'onore, come i mercati economici o il loro stesso potere!
Invece, anche per le idee si paga...perché i sogni diventano surrogati, frappé di latte condensato che nessuno beve...triste epilogo di un desiderio.
Ma Milano non sa o non vuole sapere. Milano corre verso e attraverso un altro giorno. Milano inventa la sua vita che si tinge di grigio.
Ma anche di valori nel cuore dei tre lavoratori di Trenitalia che passano ore ed ore, i loro giorni, sulla gru alla Stazione Centrale in lotta per se stessi e per i compagni che sono giá venuti e che verranno.
Che hanno festeggiato l'anno nuovo con una speranza vera di lavoro e dignitá, le due essenze, almeno nella quotidianitá di ogni essere umano, che sono state loro tolte e quindi negate, per supposti tagli alle spese.
Per loro e per chi con loro lotta e grida.
Per chi ancora ha il coraggio di dire "NO!" con la forza delle sue convinzioni.
Per chi non scende a compromessi col partito, il sindacato o la sua vita.
Per chi sceglie la sua strada, in salita, facendo di una gru la sua casa o di una piazza il suo cortile.
Per chi, nonostante tutto, é capace, ancora di difendersi e difendere i diritti revocati, cancellati, rubati.
Per loro e per me: che l'anno nuovo ingigantisca il sogno e che il sogno sia la nostra utopia e che l'utopia la nostra realtá! In questa "Milano da bere..." e nel mondo!
Saluti e baci....

E scusate se é poco....

Da lontano, come se Milano fosse ancora quel borgo medievale che é stata, sento i rintocchi delle campane. Una chiesa che chiama chi ha il coraggio di credere ancora, nonostante disagi ed uragani, geografici o geologici od umani.
Ho poche cose da chiedere a quest'anno nuovo, davvero poche perché, in fondo, si ha il diritto di chiedere quando non si ha. Quando non si ha pane e nemmeno acqua e nemmeno una casa o una coperta per il freddo. Quando i desideri sono l'unica ed ultima speranza, la fantasia diventata realtá, il niente il solo fatto quotidiano.
Noi che ci crogioliamo nell'avere tutto, avremmo soltanto il dovere di lottare perché chi non ha abbia.
Questo forse chiederei al 2012: di fare del dolore di altri la mia forza, di essere capace di cercare un giorno nuovo per chi nel corpo ha soltanto notte e nebbia e freddo nel cuore.
Di avere il coraggio di svilupparmi in quel che dovrebbe essere, ogni anno di piú, un ciclo di progresso nelle e per le vite di ogni essere umano.
Quindi, non sto qui a dirmi che smetteró di fumare perché non voglio farlo e non lo faró.
Non mi inventeró strani propositi inutili ed avventurieri.
Mi piacerebbe soltanto non avere io stessa pace finché almeno quelli che mi stanno intorno non abbiano conquistato in terra il loro angolo di paradiso.
Perché: chi siamo e cosa siamo se non siamo tra e per gli altri?
In ogni caso, data l'assoluta imperfezione della mia condizione d'essere umano, resta, almeno per ora, un proposito di speranza, un atto di fede nell'uomo e in me, certo....e scusate se é poco...e che il cielo, almeno quello dipinto di celeste, ci aiuti...
Saluti e baci...