lunedì 8 novembre 2010

Joselin

Gli alberi stanno lì,inginocchiati come in preghiera:davanti a me il salice che oggi piange ancor più forte versando nella pioggia le sue lacrime.Le sue chiome d’erba,foglie e lamenti sembrano sussurri,nel vento freddo che morde ogni cosa e la lascia ferite,sussurri cantati,una nenia fine nelle gocce d’acqua che gli fanno orchestra intorno.
Ciclogenesis Explosiva:paroloni per descrivere pioggia ballando col vento,vento che invita al ballo la pioggia…niente più.
Mi ricordo del mare,di Fano,delle passeggiate con Ghiaccio dentro la bora che strappa la pelle.
Quando tutti stavano in casa,sepolti dalla paura di cadere,noi due,il mio cane ed io,uscivamo accoppiati nel freddo lamento del vento,fino alla spiaggia.Pochi passi,cento passi forse…e poi il mare davanti a noi,così grande e spaventoso,gridando vendette antiche di marinai sepolti nelle onde. Che meraviglia quel mare che parlava e raccontava storie,con le onde bianche,bianco il mare nelle crespature delle onde!
Il mare dalle mille facce,con mille voci distinte,ma sempre lo stesso mare.Incappucciato e nervoso,canta canzoni disperate che ognuno interpreta come sa,ognuno inventa il suo concerto ricordando sconfitte o abusi,pianti e grida che qui violentano quel che è umano…e poi tace.
I colori si fondono nell’andirivieni mai monotono dei flutti,dal verde del profondo abisso alla spuma bianca che toglie la sete al cuore;gli azzurri e i turchesi non si vedono più,le onde sembrano un prato immenso in movimento che sembra venire a te rubandoti le tracce lasciate sulla sabbia.Una distesa di sogni rotti,incandescenti nel vento che brucia,che ti chiamano da lontano e tu non sai rispondere o forse,veramente,non devi.
Ghiaccio diventa nervosamente ballerino quando tira il vento,saltella come un grillo impazzito che non trova il suo posto nell’estate perché perso nei suoni gutturali di un’altra stagione.
Come se perdesse il controllo,Ghiaccio corre e frena sulla sabbia,alza terra e sassi nella corsa,si sporca e si riempie il pelo di pezzi di legno salati,di conchiglie spezzate,di tutti quei regali che incontra correndo e correndo verso un niente che lui vede.
Mi manca il mare,mi manca tanto che mi si spezza il fiato pensandoci.
Allora,quando la nostalgia è il desiderio di tornare,penso a quel poco che ho lasciato e a quel tutto che qui mi aspettava:è vero,sono lontana km dal mare,intorno a me vedo soltanto monti e alberi,colline scoscese ”…solo aghi di pino e silenzio e funghi…”.
Ma non cambierei la mia vita di oggi per la vita di ieri che di vita,poi,aveva soltanto i giorni che inesorabilmente vanno via.
Quel che ho,adesso,è quell’amore puro che non pensavo avrei mai conosciuto,quell’essere due e uno nello stesso tempo,quel gioco delle parti che soltanto avevo sentito raccontare o letto,qua e lá,nei libri.
Si chiama José ed è il mio compagno,nei giochi e nella verità:quando piango o quando rido,lui piange e ride con me ed è la cosa più bella che si può condividere.
La semplicità della vita è quello che quotidianamente ci scambiamo senza andare a cercare orpelli e complicazioni.
Soltanto giorni condivisi e accettati in due,senza friggere a fuoco vivo,ma cuocendo lentamente lo svolgersi degli eventi.
La certezza di non essere più sola,mai più sola,mi dà l’allegria e l’ironia del riderci su,di non naufragare nell’apatia noiosa del non far niente.
José è adesso il mio mare,è non aver paura di guardarmi nello specchio e vedermi diversa perché lui è sempre lì,dietro me,e dice “qué guapa eres…“e ci crede,lo vedo nei suoi occhi che curvano verso la malinconia -gli occhi tristi dei Martinez,dice la Guille…-
Perché ho un compagno d’avventura:la sincerità nel cammino,la dolcezza delle discese dopo l’ansia e la fatica del salire.É questo angolo di cielo,oggi scuro e feroce,dove sempre vedo nascere l’azzurro,all’orizzonte,dove una volta vedevo l’abbraccio materno del mare…adesso c’è lui,con braccia grandi,timide a volte come i suoi sorrisi,sorrisi che sconquassano di delicatezza il mio cuore.
È “l’uomo dalla triste figura”,il guerriero senza lancia,il condottiero nobile e fedele,è tutto e niente perché il niente è il tutto che poi scopri nella tua realtà.É Joselin...
Saluti e baci…

Alberto Bertoli - Le Cose Cambiano ( nuova versione)

Non sono soltanto parole...

Cade il giorno sul mondo,l'edera sul balcone muove leggera le sue foglie come fossero dita che disegnano nell'aria,un non so che artistico che non lascia traccia.

Spinta da un desiderio familiare,vorrei essere oggi più vicina,fisicamente più vicina,a mia sorella e vorrei poterle dire tante cose vis-à-vis,no attraverso un filo di voce che va da un capo all’altro del mondo.
Dirle che i conti,ognuno li paga alla propria cassa che é quella del supermercato della propria esistenza.
Che ti vende cose la vita,oggetti persone relazioni incontri valigie e souvenirs;ti vende biglietti per un teatro stanco di ridere...e poi,alla fine,quando stai per uscire,ti accorgi che l'attore eri tu,che la commedia é diventata a volte tragedia shakespeariana e le domande sono dubbi senza risposta.
Che l'importante é rendersi conto fin dall'inizio che si é l'attore protagonista,di quelli che,come Totó,recitavano a braccio:non servono copioni,ma sì un filo che ti regga il gioco,che ti assomigli quanto più é possibile,che non ti serva da catena,ma soltanto da filo -quel che in fondo é- per uscire fuori dal labirinto.
Dirle che l‘importante è cercarsi,riportare il dialogo su se stessi,non lasciarsi trascinare dalle maree...perché il mare é fratello e madre,ma a momenti diventa ostile e le onde ti catturano e ti lanciano verso un dove che non scegli. Sei tu sola,naufragando negli elementi,nel vento e nella follia di una tempesta che ti lascia senza forze,che ti ruba il fiato e l'indecenza e ti lascia nuda sulla spiaggia,se hai fortuna,se ci riesci.
Altrimenti ti porta via,lontano da te e da quel che sei...e non torni più.
Bisogna imparare a volersi bene,quel bene che spesso si vuole al mondo e che verso di sé,al contrario,diventa quasi indifferenza. A volte,io voglio più bene allo sconosciuto,a chi sfioro un istante e poi s'allontana e m'allontano,che al presente viscerale di chi ha soltanto voglia di giocare.
Mi pare che un istante per se stessi,dedicato a te sola,vale più di un'intera vita di corse e treni persi.
E poi,raggomitolarsi sul proprio dolore serve a rinascere.Ricomporre la matassa dei propri giorni ti permette poi poter lavorare il gomitolo e farne un maglione che ti tenga caldo nei giorni lunghi di freddo
Perché nei giorni che passano e vanno verso la sera,ti ritrovi da sola davanti allo specchio dei desideri, ti ritrovi umile e stanca e se non ti piace quel che vedi,chi danzerà con te la danza delle ore?
Io vengo da tre anni che sono stati più lunghi e cattivi dei quasi cinquanta che ho.Vengo da un abisso che ha fatto di tutto per inghiottirmi,vengo da una malattia nata nella banalità e conclusa in un dramma.
Sono stati tre anni d'immobilità,di silenzio dell'anima,quello stesso che però mi ha permesso ritrovarmi,dopo lunghi giorni di ascolto,e di riuscire finalmente a ricomporre un dialogo con me stessa.
Sono stati anni di buio anche se fuori c'era il sole:dentro me la pioggia e la neve dell'inverno coprivano ogni cosa.
Certo,dalla mia parte ho quella testardaggine ciclopica che spesso diventa il difetto più feroce che ho.In questo caso,testardaggine e coscienza della stessa e costanza,sono quel filo che mi ha condotto fuori dal labirinto
C'é un minotauro in qualsiasi angolo della tua anima,un essere che violentemente ti trascina dove vuole,nell'abisso dell'incoerenza che sfiora la follia.
Io non ho mai voluto morire,non ci ho mai pensato in questi lunghi anni,anni in cui un secondo o un minuto o un'ora erano il bagaglio pesante che mi caricavo addosso e io,mulo da soma -lo diceva sempre mia nonna,sei come tua madre...un mulo che porta sassi...-, caricavo e camminavo nell'immobilità con la corporazione intera dei dottori che diceva "Trovati degli hobbies,non so,un qualcosa,perché dalle stampelle non ti stacchi più...questo é quel che ti rimane,la tua casa e il tuo dolore...." ...e io andavo e caricavo,dolore e lacrime,tante lacrime e poi ancora dolore
E un bel giorno di marzo,la primavera scoppiava davvero dentro e fuori di me,il dolore piano piano era diventato debole,soltanto un ago,fastidioso sì,ma sopportabile...e l'immobilità un ricordo da non dimenticare.
Questo per dire che il lavoro su se stessi é quel bagliore che rende possibile ogni cosa.Ma devi dedicargli tempo,tempo a te stessa prima che il drago uccida la principessa con il suo sorriso di fuoco.E chi deve uccidere il drago sei tu perché il drago vive in te,é parte di quel mondo che hai lasciato lì,dimenticato,impolverato...E pensavo a mia sorella e le dicevo “Datti una possibilità per imparare quel che sei Katis,per ritrovare i tuoi riccioli incandescenti fatti di fili di rame,intrecciali e ricomponi il cespuglio vitale che ti darà nuova linfa.
Lavorati addosso,cercati nella profondità del mare e poi dallo sconcerto arriva la certezza di esistere per qualcosa,per se stessi e dopo,soltanto dopo,per il mondo”
E continuavo,come se potesse ascoltare le mie parole:“Io ti voglio tanto bene...e te lo dico e te lo ripeto ogni volta,senza stancarmi mai…“
Ed è vero,glielo dico e non soltanto qui dove sbuccio le idee e trovo le parole come piccoli frutti amari che raccolgono me,non sono io quella che vaga per il frutteto,sono loro che mi chiamano ed io,ogni volta,rispondo…
Saluti e baci...