domenica 14 novembre 2010

Lettere dal fronte occidentale

La luce dei lampioni, come fosse un’albicocca di metallo, si riflette nelle poche pozzanghere rimaste, la strada sembra muoversi dovuto ad uno strano fenomeno ottico e l’asfalto mi ricorda quelle scarpe di vernice nera, lucida, di quando ero bambina e con le quali scivolavo spesso.
Guardando dalla finestra, l’idea è la stessa: scivolare sulle ultime gocce d’acqua di un giorno bagnato da un piovigginare lento e quasi incorporeo, ma costante e determinato a non lasciare asciutto nessun angolo tra cielo e terra.
Il cielo si è messo il sole in tasca e lì l’ha dimenticato, come spiccioli che valgono poco o niente. Ogni tanto,s’impiglia, il sole, nei centesimi reali che dormicchiano nel fondo e tintinna e vibra, ma non c’è nessuno che l’ascolti. Quindi, ritorna al suo posto e lascia fare.
Ieri è stato un giorno così, pigro e senza promesse, scivolato via quasi anonimo, uno dei tanti nel calendario che mostra il Partenone, l’Acropoli in una strana luce notturna, affacciata sul mese di novembre, ma ricordando un calore estivo, quello di una città che dorme assorta nella sua antichità.
Un mese sì e uno no, appare nel calendario, come magicamente, la foto di Don Valerio, tra le buganvillee o tra sassi bianchi, tra monumenti o case di pietra, appoggiato a un olivo che cresce nel sole, vestito di bianco.
E nelle altre pagine, sei per l’esattezza, c’è Atene nel suo splendore storico ed antico, classicità che si fonde col moderno, monumenti millenari nello sfondo notturno di questa città afosa e maltrattata.
Don Valerio è sempre stato per me un rifugio dove poter appisolare la mia ansia di sapere o soltanto la calma dopo la tempesta perfetta.
Ricordo che mia madre, quando mi vedeva confusa o preoccupata, mi diceva sempre:” Vai dal tuo Don Valerio ”, perché sapeva bene che poi sarei tornata come in pace con me stessa ed i miei dubbi.
È sempre stato quel padre dal quale avrei voluto carezze e che, invece, non sapeva allungare la sua mano sui miei capelli per addolcire o soltanto rinfrescare i miei timori, le incertezze d’adolescente. Allora c’era lui, il Don, che ci sapeva fare, sapeva trovare le parole o, molto spesso, soltanto ascoltare in silenzio, senza disturbare la mia inquietudine che a volte diventava barriera e non lasciava spazio allo scorrere naturale della vita. Ma proprio nel silenzio parlava, non soltanto al cuore, anche i pensieri diventavano fiumiciattoli sottili che d'improvviso ritrovavano la loro strada verso il mare.
Ricordo perfettamente il chiostro del convento, le colonne di pietra intorno alle quali si allargava il prato, i portici e le lunghe passeggiate contando i passi e girando in tondo;o le api che ronzavano tranquille, sicure di non essere molestate, alla ricerca di fiori e piante nel loro frenetico lavoro quotidiano;o la biblioteca che mi lasciava ogni volta senza parole, il respiro si fermava e la mente stava attenta a quello che dagli antichi manoscritti poteva scaturire.
Mi sono sempre aspettata, lì dentro, che d’improvviso le parole saltassero fuori da quei libri bellissimi e che i pizzi con i quali erano state tracciate, tornassero a ballare intorno a me come quando erano state scritte, da un calamaio e da una piuma vecchi di secoli, e ricominciassero le danze del sapere preciso uscendo, di nuovo, per me, da quelle dita esperte.
Era come volare in mezzo al tempo che lì si era fermato, scoprire segreti e concetti forse già scomparsi nel caos di un passato che non torna, ma che però si faceva spiare, occhieggiare e in un certo senso conoscere.
Poi un bel giorno,sono io che sono partita verso altri tempi, più moderni e dolorosi, e il rapporto si è spezzato inesorabilmente.
Ci siamo ritrovati da poco quando ho ripreso in mano la mia vita che sembrava ormai un libro senza prologo né indice, con una trama ad episodi slacciati, senza quasi legami tra di loro.
Anche nel ritrovarsi non ci sono state parole, soltanto un abbraccio che raccontava gli anni vissuti, silenziosamente. Soltanto lacrime a marcare un tempo che tornava nelle parole non dette, ma che lavavano via anni di solitudini e malumore, anche giorni di allegria e soddisfazione, ma sempre segnati inesorabilmente dal bisogno di una carezza che troppo spesso non veniva.
Don Valerio è, come nelle foto del calendario, un punto fermo, la realtà che va e viene ed anche il bisogno di tornare alla foce dalla quale si è partiti: tornare per ritrovarsi, per non dimenticare, per rinnovare il proprio esistere ed accorgersi, almeno per un attimo che, se si anela al futuro, non si può lasciarsi alla spalle i desideri e le speranze di ieri.
Invece, troppo spesso, pedalo veloce e non vedo passare accanto a me le foto e quel che distingue e sottolinea quel che sono: nella fretta, mi sento come un coriandolo già volato via, invece di pensare che sono un aquilone spinto contro il vento, ma con un filo sottile che mi tiene stretta e mi congiunge a fatti e persone così importanti in quel che è stata la mia vita fino ad oggi.
Ci scriviamo Don Valerio ed io e la cosa strana adesso è che a volte sento che ci siamo scambiati i ruoli: lui è diventato più debole, a volte addirittura penso che ci sia come una piccola crepa nella solidità della sua fede.
Leggo malinconia tra le righe, leggo rimpianti e disillusioni, mentre io, al contrario, sono diventata come una pietra sulla quale sedersi e riprendere fiato, un ciclope che “ guarda il mondo da un oblò ” e non ha più paura di dichiarare le sue debolezze, di firmare trattati di pace con se stessa.
Ma, nonostante, le sue lettere sono sempre una gioia per me perché sono ancora le stesse che ci si scriveva trent’anni fa, anche se il contenuto è per ovvie ragioni differente: però sono scritte a mano, imbustate, con francobollo e destinatario e poi spedite…e tutto suona anacronistico in questo mondo computerizzato, ma così lieve e lento, pausato, nell’indecenza del correre quotidiano.

Il cielo si diverte nella brezza leggera del mattino, si muove aggraziato e evanescente nell’aria, da giravolte passeggere e poi torna sui suoi passi.
Mentre in fondo alla strada, tra il buio e la luce arancio dei lampioni, tra poco, nuvole chiare porteranno a passeggiare la notte nell’altro emisfero che resta il mondo sconosciuto.
Saluti e baci…

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