domenica 28 novembre 2010

"Come un'attrice persa sulla scena..."

http://www.youtube.com/watch?v=EtdTqiswQJM

C’è profumo di limone in casa.
Mentre fuori zampilla, perseverante, l’odore di neve, qui dentro l’ambiente si è saturato di primavera.
E non so perché, ma all’improvviso mi è tornato in mente Maiori, piccolo paese della costiera Amalfitana, situato nel Golfo di Salerno, sul mare e nel mare dato che anche dal mare può arrivare e partire, la spiaggia è lì e aspetta.

Sarà senz’altro l’odore di limone, così penetrante e aspro che l’ha catapultato alla mia mente.
Quanti giorni e quanta vita lasciata sulla sua spiaggia o nelle piastrelle colorate del lungomare…quanta gente accompagnata e conosciuta, quanti amici incontrati e perduti poi lungo la strada…

Sarà la ”Camminata dei limoni”, quell’istante che mi ha fatto tornare prepotentemente alla mente Maiori: è una specie di passeggiata, da Maiori a Minori o viceversa, una scalinata da percorrere lentamente, a piccoli passi, un sentiero aggrappato alla montagna che fa da cornice al mare.
Si chiama proprio così, la camminata dei limoni, perché in tutto il percorso s’intercalano gli alberi di limone, tanti, fiori bianchi che ti accompagnano quasi per mano.
E in mezzo alle foglie e ai fiori, agli stessi frutti quando la stagione lo permette e lo richiede, un sapore dolciastro di succo di limone ti spruzza letteralmente il cuore.
Perché la gente in mezzo a quei sassi che sono gradini, ancora vive con il sorriso e l’anima tra le mani e quando passi, in gruppo e da sola ,ti salutano e ti invitano a sedere fuori dalle loro case che sembrano grotte comparse dal niente.
E, come le stesse grotte, dal niente si sporgono mani con grandi caraffe piene di limonata, un liquido giallo che si spinge verso il verde con incredibili giochi di sfumature e che, ancor prima d’essere bevuto, ti lancia addosso il suo profumo aspro e dolce, come la terra dalla quale nasce.

Ho ricordi vivissimi di quei luoghi e di quella camminata in particolare.
Per anni ho accompagnato gruppi in Costiera Amalfitana, due quattro, anche più volte all’anno ed ogni volta era per me un rapporto d’amore rinnovato con quella terra e con la sua gente.

Mi ricordo di Francesco, il cameriere dell’Hotel Garden.
Non era bello Francesco: piccolo, magro, denti sporgenti e una massa di riccioli neri, neri come i suoi occhi che, quelli sì, erano belli perché da quel nero carbone usciva fuori, quasi scintilla nel silenzio, tutto il suo grido alla vita.
Si era innamorato di me Francesco o al meno così gli sembrava.
Ma io non di lui. Io che ho sempre giocato con l’amore, mi ero lasciata intenerire da quel ragazzo cresciuto che mi cantava sempre una canzone di Vecchioni, sempre la stessa  “...che non è più vicina né lontana, come un'attrice persa sulla scena..."
  
E mi diceva sempre, in macchina, correndo sulla panoramica verso Praiano e verso quella discoteca dove sotto i piedi c’era l’acqua del mare e ti dava persino le vertigini guardare in basso, mi diceva -quella sei tu, che giochi con me a fare l’attrice e mi prendi in giro…
Ed io che cercavo di spiegargli che non lo stavo prendendo in giro, ma che soltanto non c’era amore in me né per lui né per nessuno, che le cose andavano bene così, che non era momento per altre cose,che non s’innamorasse di me.
Quante volte gliel’avrò detto e ripetuto: non t’innamorare di me che ti puoi far male
Ma lui insisteva in quell’idea d’amore ed io premevo perché quell’ipotesi sfumasse.

Erano giorni belli, giorni vissuti nella consapevolezza del niente perché “ a vent’anni si è stupidi davvero…”, ma si ha vent’anni e il mondo e la vita integra tra le mani.
Me lo ritrovavo sempre dietro Francesco: quando col gruppo andavo ad Amalfi, sulla scalinata del Duomo che ha gradini alti che sembra che non arrivi mai in cima e quando sei su, guardando la piazza, ti senti come se tutto l’intorno fosse tuo.
Dalla porta della Chiesa lo vedevo, la sigaretta in bocca come un Humphrey Bogart di periferia, appoggiato al muro davanti al negozietto di spezie, guardava su facendo finta di guardare il cielo e poi con la mano mi chiamava.
O la sera, fuori dall’Hotel o in quella che sembrava la piccola Rambla del centro e che visto così, di notte, quasi da lontano, non sembrava neppure un paese sul mare, e mi diceva: “ Iliás -strascicando la esse e cambiando accento al mio nome- stamme a ssentí, sei come ‘navventura, Maronna mia…la tua vita e come ‘nu teatro, la maggior parte delle cose che dici nun le posso ‘ntènnere, parli difficile, pare ‘na filosofia pero…nun posso ‘sta luntano ‘e te”
Io ridevo perchè sembrava che stesse recitando le strofe di una canzone e lui s’arrabbiava. “ Me sfotti ” mi diceva.

Francesco è un nome tra tanti che sono un ricordo che si può raccontare o pensare di tanto in tanto e nonostante, lui come altri, non l’abbia mai creduto fino infondo, non ho mai preso in giro nessuno.
Altra cosa potrei dire della gente che con me a giocato a dadi, con me e con i miei bisogni di affetto, non di amore.
Adesso, cresciuta e con i cinquant’anni che suonano alla porta, mi rendo conto che le immagini di quel che uno proietta della sua vita, a volte altro non sono che i ritagli di un film inventato, spezzoni di poesia che si recita da soli e, inconsapevolmente ,si crede che intorno ci sia un coro a sorreggere le battute sbagliate, le virgole scordate nella lettura.

Lo rivedevo sempre Francesco quando tornavo a Maiori, la gente dei gruppi che accompagnavo era diversa ogni volta e, chissà, forse anch’io ero diversa ogni volta.
Un bel giorno decise di far finta di non riconoscermi e da quel giorno ci si incontrava come anime che si erano sfiorate per sbaglio e per correttezza, poi, avevano deciso che non si erano mai incontrate.
Quante necessità ci sono nell’animo umano, quanta incertezza e quanta paura forse e soprattutto dell’amore.
Io so soltanto che anche Francesco, come tanti e tante, mi hanno accompagnato per brevi, brevissimi tratti: poi, come spettri che non si è mai visto, se ne sono andati, sottovoce e in punta di piedi, così ,nello stesso modo in cui erano venuti, ognuno al suo delirio, ognuno cercando di ricordare il copione della propria vita.
Sono tutti spiragli, crepe nel muro che ti costruisci addosso giorno dopo giorno cercando di fabbricare su te stessa la tua casa, il rifugio al quale tornare quando le sere si fanno fredde e scure, quando s’accendono le luci dei lampioni e anche tu, come tutti ,hai bisogno di un cuscino dove lasciar cadere i tuoi sogni.
Saluti e baci...

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