martedì 9 novembre 2010

C'era una volta...

La Ciclo genesi è passata,o almeno così pare.Il vento è giá soltanto una brezza leggera anche se il cielo è così luminosamente blu che fa venire i brividi.C’é una luna piccola,brillante e tagliente,come una virgola che è proprio come una congiunzione in cielo,di quelle che mettono punti o pause nelle frasi che si ripetono da sempre.
Mi sveglio di nuovo presto come se qualcuno ad una data ora mi chiamasse:spesso è il dolore al piede e alla gamba che mi chiama con ferocia e certi squilli fisici,come il dolore appunto,non puoi far finta di non sentirli.Ma non importa,cosí il giorno è lungo e lo vedo nascere lentamente,colorare di rosa ogni cosa,sfumare dal buio verso la luce con saggia maestria.Quella stessa attraverso la quale,ogni volta, posso sperimentare quanto grande sia quel che sta intorno e quanto piccola sia io.
Sono la “ragazza dell’alba”anche se ho vissuto tanti tramonti.
Mi emoziona sempre la luce che viene a piccoli passi,mi innamoro sempre del nuovo sole…sará che anche il mio nome ha origine in lui!

Ieri è stato un giorno di festa. Lo è per me ogni giorno passato con José,parlando o ridendo,guardando un film come abbiamo fatto ieri o semplicemente stando sbaraccati sul divano coccolando a Ghiaccio che di coccole non ne ha mai abbastanza.
Vivo sempre incontri ravvicinati con la solitudine,passo giorni interi parlando con me stessa nel mio mondo fatto spesso di silenzi.Non me ne compiaccio,ma nemmeno mi lamento ormai:ho molte più cose belle che brutte sulle quali riposare e delle quali essere felice.
Scrivere è la mia compagnia,scrivere e poi cancellare e tornare a scrivere.Mi accompagna nelle ore vuote dell’alba e durante il giorno con la camminata millenaria di chi,ormai,non ha più fretta né di cercare né d’incontrare perché ogni volta,quel che viene è un qualcosa incartato in lucida carta da regalo…e non si può chiedere di più alla vita.

Ieri ho cucinato le salsicce con i funghi e mi è tornata prepotentemente in mente mia madre:non che non stia sempre accanto a me,ma ci sono volte in cui la sento più presente,come un effetto fisico che mi rilassa e mi commuove.
Perché la salsiccia è tra i sapori che mi porto dietro fin dall’infanzia.Si mangiava molto a casa,forse perché costava poco,chissà…o semplicemente perché era una delle passioni di mia madre.
 Ancora ricordo certi panini con la salsiccia,le tartine dell’Adriana,appena sfornate,che quando le aprivi facevano come un fumetto caldo che aveva per me sempre quel profumo di giorno nuovo,di fragranza mattutina e di casa.
Ieri le ho cucinate con gli champignon,a José non piacciono i funghi secchi…e nemmeno la polenta gli piace,non posso proprio capirlo!

Faccio prima saltare la salsiccia in una padella quasi senz’olio,soltanto una spennellata sul fondo,perché quando si da un colpo di fuoco vivace alla carne,la catena di molecole che la forma rimane intatta,si blocca e il risultato è un punto speciale di sapore
La punzecchio qua e là,cosí l’essenza esce fuori ,si sgrassa e va a formare una base per l’intingolo che verrà.
Quando prende colore e la pelle intorno diventa un involucro croccante,versoo un bicchierino di brandy e,come in una festa,tutto comincia a saltare,allegro e divertito,ubriacando come sempre sapore e odore e,sul più bello delle danze,tolgo la salsiccia dal fuoco e la metto a riposare riposare..
Quindi faccioun soffritto con porro e carota che dà poi al sugo quella fragranza dolce e arancio che mi piace tanto. Mia madre non ha mai fatto soffritti,tutto a crudo,diceva,che cosí non fa male…ma io non posso resistere alla sensazione olfattiva che si libera,spezza le catene,vive vita propria,quando la verdura si lascia coccolare dal fuoco lento e poi sprigiona quell’aroma misterioso che sembra un rapporto d’amore,la verdura ed il fuoco e l’olio che si fonde nell’abbraccio con l‘aglio…
Aggiungo gli champignon e piano piano l’olio li  bacia,voluttuosamente,nascondendosi nel loro cuore.
Poi tuffo un trito di pomodoro,lascio che trovi il suo posto,che si faccia largo nella relazione giá cominciata e lo lascio lì,minuti di oblio,incorporandosi e cambiando il gusto di ogni cosa.
Aggiungo un po’ d’acqua di tanto in tanto,ma realmente li lascio fare,non è bello guardare da vicino un rapporto cosí privato,metto il coperchio e me ne dimentico per una mezz’ora almeno.
Soltanto negli ultimi dieci minuti,quando il sugo si fa spesso,quasi crema,aggiungo la salsiccia con le lacrime che ha versato all’essere punzecchiata e riapro le danze,prima a fuoco vivo,poi senza fretta,che la fretta uccide e rovina ogni cosa,in cucina e in ogni dove!
 
Mi è mancata la polenta,qui non riesco a trovare la farina:trovo quelle istantanee,ma non è la stessa cosa.
Mi affascina la farina,qualsiasi farina perché lavorata si trasforma,nelle mani o sul fuoco,unendosi e diventando una sola cosa.E quella di granoturco,granelli di polvere d’oro,sembrano le lentiggini del sole ed ha per me il vero significato della casa,delle origini,delle radici contadine.
Per me,figlia del nord,non potrebbe essere altrimenti:non ricordo racconto di mia nonna nel quale non ci fosse la polenta,dura,tagliata a fette quasi con un filo e divisa nei piatti :tanta gente intorno alla tavola,davanti al camino o ad una stufa a legna,e a turno passavano la polenta sui cibi appesi,penzolanti dal soffitto,insaccati o secchi,salamini o aringhe per esempio,perché la polenta ne catturasse almeno l’odore se non il sapore,e diventasse come un altro mangiare.I pochi soldi di un raccolto o lo stipendio povero e sudato in filanda,non permettevano che con la polenta ci fosse un salamino per ognuno,a volte uno diviso in tre,mi diceva sempre.

Altri tempi,altro vivere che però ho chiaro nella mente perché l’ho vissuto attraverso altre storie che poi sono le mie.Tradizioni che non ci sono più,ma che restano aggrappate fortemente al cuore e ritornano perché nel ricordo,niente muore mai
Saluti e baci…

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